Sono tornato a Chicago per la terza volta. La Windy city, come la chiamano gli americani, è diventata la città americana che abbia esplorato di più.
Questa volta però, prima di addentrarmi nella city ho visitato la zona di West Chicago, Saint Charles e Geneva ed è da lì che vorrei partire nel mio racconto.
Delle zone rurali dell’America del nord, conservo sempre emozioni contrastanti. Apprezzo l’innegabile senso di benessere che le casette fuori città sanno trasmettere ma al contempo ho spesso la sensazione che sia facilissimo sentirsi isolati e distanti.
Angoli deliziosi che al di fuori delle tre vie principali si trasformano rapidamente in zone a bassa densità di popolazione e con qualsiasi servizio raggiungibile esclusivamente in auto.
Nulla di incredibile per l’americano medio probabilmente ma la sensazione di un mondo non più a misura d’uomo mi ha lasciato perplesso: non so se davvero mi piacerebbe vivere lì.
Fuori dalle città tutto è concentrato in giganteschi centri commerciali preceduti da mega parcheggi. Ironicamente pensavo sempre che se mai un giorno gli americani dovessero trovare un parcheggio pieno, immediatamente spianerebbero la zona accanto per crearne uno nuovo altrettanto grande. D’altronde lo spazio lì non manca e, confrontato all’hinterland milanese, questo regalava una bellissima sensazione: tanta aria, tanto verde intorno. Anche per questo, probabilmente, le case si permettono con facilità giardini immensi (tipicamente ben mantenuti) e strade adatte a contenere il più folle dei SUV americani.
Una sera a Geneva siamo andati a prendere una birra in un locale con musica dal vivo e serata karaoke: non tutti avevano grandi qualità canore ma tutti ci provavano con grande semplicità.
Ho ri-assaggiato la Giordano’s pizza, la tipica pizza rialzata di Chicago (che nasce dalle capacità culinarie di una famiglia torinese): chiaramente non è la pizza napoletana o comunque la pizza come la intendiamo noi. La pasta è leggermente diversa (è più simile a quella che si usa in una torta salata, leggermente più biscottosa) ma nel complesso è un buon pasto. Si può avere farcita semplicemente con del formaggio o, come nella versione scelta da me, con un po’ di carne e verdure.
Dei locali americani colpisce sempre la possibilità di consumare al banco. Che sia una birra, un cocktail o un intero pasto, sgabelli e bancone non mancano mai, anche all’interno di ristoranti un po’ più raffinati. I locali poi sono sempre arredati con TV che proiettano sport 24 ore su 24.
A proposito di sport, ho colto l’occasione per andare a seguire la partita tra i Chicago Cubs ed i Miami Marlin. Devo riconoscere che da profondo ignorante la prima mezz’ora di gioco ho letteralmente faticato nel comprendere chi stesse vincendo. Il tabellone dei punteggi è strapieno di numeri alcuni dei quali non son riuscito a decifrare neanche a fine partita. Gli aspetti divertenti e diversi dai nostri son tanti. In primo luogo è apprezzabile l’aria di festa che si respira: a differenza del nostro sport nazionale, la partecipazione è adatta a qualsiasi età. Nonostante il freddo pungente (ma era un problema per me, non per loro…) ho visto anche qualche famiglia con neonato in braccio e nonostante i Chicago Cubs abbiano perso il pubblico è rimasto composto ed è andato via senza particolare (stupida) violenza da sfogare.
Gli inevitabili intervalli di questo sport sono riempiti da quiz sui tabelloni infarciti di pubblicità o da riprese al pubblico (che spesso fa il possibile per essere inquadrato). Inoltre è possibile ordinare cibo o bevande direttamente al posto, senza muoversi (cosa che gli americani gradiscono particolarmente e che si intravede in tanti altri aspetti delle loro abitudini quotidiane…). Immancabile e caratteristico ad un certo punto dell’evento il saluto all’ex-militare in pensione presente sugli spalti: gli americani sentono fortissima la loro potenza militare e spesso i locali o gli eventi hanno tariffe differenti per i veterani. Ogni azione della partita infine è accompagnata da piccoli motivi musicali che enfatizzano il risultato in positivo o in negativo. Insomma, uno show nello show, assolutamente da vivere almeno una volta.
Fare un giro dentro Chicago è stato inevitabile ma ho evitato il tour nei grattacieli avendone visitato più di uno in passato. Ho comunque colto l’occasione per fare l’«Architecture tour» sul Chicago River per scoprire qualche nuovo dettaglio su questi palazzoni così affascinanti.
Ho scoperto così che son solo due i grattacieli a Chicago che contrastano l’azione del vento attraverso un sistema di correzione del baricentro realizzato tramite grossi serbatoi d’acqua posti in alcuni piani non abitabili dell’edificio. Uno di questi è il St. Regis, quel palazzone ondulato visibile nelle foto.
Oppure, ho scoperto che la ragione per cui il «150 North Riverside» ha una base così stretta è che esiste una norma che prevede che gli edifici di Chicago devono essere distanti 35 piedi dalla riva del fiume e tale limite non ha mai avuto deroghe.
A proposito di piedi, sono in attesa che l’evoluzione umana porti all’adozione del sistema metrico decimale anche dalle loro parti. Trovo assurdo ragionare in pollici, spanne, braccia – tutte misure non proporzionali tra loro – e sentire dire al navigatore dell’auto di svoltare a destra tra mille piedi…
Emanuele
Ben tornato negli States! Non sono mai stato a Chicago, ma ora mi hai fatto venire voglia di passarci un fine settimana.
Ciao Dino, in questi giorni pensavo anche a te, immagino che casa tua non sia molto differente dalle casette viste fuori Chicago… 🙂
Ciao,
Emanuele
È una città che mi incuriosisce, vista più volte nelle varie serie Chicago Fire, PD e altri spin-off.