Concluso il giro in Inghilterra mi son ritrovato catapultato, dopo pochi giorni, in Sardegna.
A questo punto è doveroso porgere le mie scuse a tutti i sardi: ho messo piede su questa meravigliosa isola solo quarant’anni dopo esser nato. Ogni estate congiunzioni astrali differenti mi avevano portato ovunque tranne che lì.
Ho avuto modo di fare il bagno alla Pelosa di Stintino, ho assaggiato copulette e tumbarelle. Ho adorato la natura selvaggia del mare dell’Argentiera e l’acqua cristallina della spiaggia del Lazzaretto e le Bombarde. Credo che questa terra, ragionevolmente, meriti la fama di cui gode.
Mentre a Milano tornava il fresco (e la pioggia) ho avuto modo di fare un giro anche ad Alghero con la sua bellissima passeggiata sui bastioni e godere di un ultimo bellissimo cielo.
Mi è sempre stato raccontato che il sardo fosse una persona dura e schiva. Al contrario io ho incontrato solo persone iper-accoglienti che in pochi istanti ti facevano sentire a casa.
Sono ripartito con la sensazione che la Sicilia avrebbe da imparare una o due cose dalla Sardegna ma il ponte tra le due isole, per un possibile travaso, mi sembra irrealistico non solo per ragioni geografiche.
Complice un mega-matrimonio indimenticabile, quest’inverno abbiam fatto interminabili file per i passaporti delle bambine e comprato dei biglietti per l’Inghilterra.
Durante l’adolescenza Londra è stata la mia città dei sogni dove trascorsi varie estati e nella quale, nonostante più volte in questi anni abbia messo piede in Inghilterra, non tornavo dal 2005.
Io allora ero un’altra persona, Londra invece è sempre Londra e questi otto giorni mi hanno ricordato perché ne fossi così innamorato.
Ad ogni fermata di metro Londra ti catapulta in un mondo nuovo. Non penso in Italia ci sia nulla di paragonabile. Sebbene Milano sia una città con una grande capacità di trasformazione, credo che Londra giochi un campionato diverso in un melting pot di culture, tradizioni e religioni. Antico e moderno si intrecciano continuamente lasciando stupefatti ad ogni passo.
In pochi istanti passi dagli scoiattoli di Hyde Park al senso di metropoli moderna di Southbank, dal regale ponte di Londra alla orientaleggiante Soho. Dai pub sul Tamigi agli street parade di Camden Town.
Mi son tornati in mente i pomeriggi adolescenziali passati a Covent Garden a guardare gli artisti di strada, i miei hack ai totem di King’s Cross per mandare SMS alla famiglia dato che non possedevo ancora un cellulare, i miei ritorni notturni nella stanza ad Hammersmith.
Viaggiare in famiglia impone ritmi e percorsi differenti ma le figlie si son dimostrate ottime viaggiatrici tanto da riuscire ad assistere tutti insieme ad un’opera di Shakespeare al Globe Theatre o fare un giro al Tate Modern.
In cambio abbiamo seguito tutto il percorso dei grandi classici londinesi: siamo andati alla ricerca dei luoghi in cui è passato l’orsetto Paddington (ci sono un po’ di statue sparse in città), abbiamo raggiunto Peter Pan e giocato con il veliero dei pirati al Diana Memorial Playground, siamo andati alla ricerca di Mary Poppins a Leicester square.
Varie centinaia di foto dopo, con una indimenticabile guida all’inglese, abbiamo fatto una prima tappa a Weston Super-Mare, un piccolo paese sull’estuario del canale di Bristol, dove i surfisti si divertivano a cavalcare un mare gelido e un vento altrettanto tagliente nonostante la stagione. Non il tipo di mare che amo e che ho salutato qualche settimana fa, ma affascinante ugualmente a modo suo.
Infine ci siam fermati a Bristol, una pulita città inglese premiata qualche anno fa quale “Capitale verde europea” dove persino le fontane sono “balneabili“: l’acqua, mantenuta pulita col cloro, era luogo di gioco e ristoro per bambini in costume.
Proprio il verde e l’aria pulita di Bristol mi han fatto domandare più volte perché tornare su un’aereo destinato verso la pianura padana…
La mia Sicilia è una ladra. Ruba il cuore e la pazienza. La mia Sicilia è l’amante che non riesci a lasciare, il desiderio che provi a tacere, il dolce che vorresti evitare.
Passano gli anni e continuo ad amarla e criticarla, perché è maledettamente bella e disgraziatamente trascurata.
Non potrò mai davvero farne a meno, non potrò mai davvero tornarvi.
Viviamo nella parte «fortunata» del pianeta. Siamo abituati a dare per scontati e inalienabili tanti privilegi che altrove non lo sono. Questo ci rende spesso incapaci di comprendere potenzialità e opportunità offerte da tecnologie che non sembra possano migliorare il nostro mondo.
Il 7 ottobre 2023, il giorno dell’attacco di Hamas ad Israele, la vita di Yusef Mahmoud, un tassista palestinese di Gaza, è cambiata radicalmente insieme a quella di molti altri. Già prima della guerra, Gaza era afflitta da disoccupazione e fame, con due milioni di persone senza accesso all’acqua potabile.
Non ho intenzione di entrare nel merito della vicenda, sebbene continui ad avere una semplice idea molto chiara.
Da quel giorno l’intero popolo è stato paralizzato, la società devastata, i servizi di prima necessità annientati. Tutto, nella vita di molti, è scomparso e reso un semplice ricordo. Tra le cose polverizzate c’è l’intero sistema economico. I conti bancari di tutti i risparmiatori sono stati freezati, non è più possibile prelevare e si è tornati ad utilizzare baratto e contanti. Questi ultimi, chiaramente, difficili da trasportare e conservare in sicurezza.
In risposta a questa crisi, Yusef ha cercato aiuto online e durante il Ramadan del 2023, attraverso una piattaforma di crowdfunding ha iniziato a chiedere donazioni in bitcoin per acquistare beni di prima necessità per la popolazione.
Da allora Yusef ha distribuito cibo e acqua potabile a oltre 20.000 famiglie.
La natura decentralizzata di bitcoin ha permesso a Yusef di bypassare le restrizioni finanziarie e fornire aiuti diretti, rendendo questa cryptovaluta una risorsa vitale in una zona dove le transazioni bancarie tradizionali sono ormai impossibili.
Bitcoin ha dimostrato di essere più di una semplice valuta digitale: è diventato un mezzo essenziale per sostenere una comunità in crisi, mostrando – in una situazione che vorrei non avesse ulteriori seguaci nella storia – delle potenzialità che vanno oltre la nostra quotidiana immaginazione ma che da sempre sono uno dei pilastri della sua struttura.
Conosco tanti amici incapaci di comprendere in che modo le cryptovalute possano cambiare in meglio il mondo. Io da anni suggerisco di approfondire questi temi e questa triste occasione non può che ricordarci che dovremmo imparare a guardare oltre il nostro orizzonte. Esistono realtà in cui avere una moneta non censurabile, facilmente trasportabile, inconfiscabile e trasferibile a distanza può letteralmente rappresentare la differenza tra l’avere dell’acqua oppure no.
Alcuni anni fa, quando ancora partecipavo su Twitter, decisi di fare ordine nella mia casella di posta e cambiare la mail di riferimento all’interno della piattaforma. Per il social network, non si trattò di una modifica di quel campo ma di un nuovo record da mantenere. [1]
Tale comportamento è diffuso tra i vari social network. Twitter (ormai X) non dimentica. E neanche Google, Facebook o Amazon.
Quando però lo fanno, in realtà, è già troppo tardi.
Da tempo infatti si è diffusa la moda del “cancella i tuoi dati più vecchi“. Google permette di farlo, in automatico, per i dati più vecchi di 3 mesi. L’utente pensa di aver gabbato Google e di star proteggendo la sua privacy. In realtà, tutti i metadati da estrarre da quei record, sono già stati recuperati e utilizzati per migliorare il tuo profilo. Che venga eliminato il dato grezzo – a quel punto – è ininfluente per l’utente ma – addirittura – un vantaggio economico per Google (risorse in meno da mantenere).
In realtà, questi strumenti di auto rimozione dei contenuti risolvono ben poco per gli utenti. Gli esperti sostengono che nell’intervallo dei 3 mesi, Google ha già estratto quasi tutto il valore potenziale dai dati, e dal punto di vista della pubblicità, i dati diventano senza valore quando sono vecchi qualche altro mese in più.
«Qualsiasi cosa fino ad un mese è di estremo valore» dice David Dwech, capo del ramo ricerche a pagamento dell’azienda WPromote. «Qualsiasi cosa oltre il mese, probabilmente non sarebbe utile ad inserirti nel target ugualmente».
L’unico modo per non essere dei record permanenti di queste grosse società è l’utilizzo di strumenti alternativi, etici e rispettosi della privacy. Esistono.
Riprendiamoci i nostri dati.
Emanuele
[1] Se vi vien voglia di verificare, sappiate che nei vostri profili social è ormai presente per legge una sezione attraverso la quale scaricare tutti i vostri dati. Questa è quella di Twitter (attraverso la quale potrete verificare che – appunto – la nuova mail è diventato un nuovo record), questa quella di Google.
Anima mia, fa’ in fretta.
Ti presto la bicicletta,
ma corri. E con la gente
(ti prego, sii prudente)
non ti fermare a parlare
smettendo di pedalare.
Raggiungere un’isola dal mare è sempre un momento emozionante. Onda dopo onda, quella terra inizialmente così lontana si trasforma in un punto fermo verso cui fissare occhi e prua.
Lo scorso weekend ho raggiunto Ponza nello stesso modo in cui migliaia di anni fa la raggiungevano i romani ed i turchi e mentre ci avvicinavamo verso quella striscia di terra fortunatamente emersa pensavo allo stupore di cui avranno goduto gli antichi esploratori. L’idea di poter urlare «Terraaa!» ad un gruppo di uomini che per giorni avevano solo visto acqua e sole doveva essere qualcosa di potentissimo.
Un istante che la naturale evoluzione ci ha negato ma che, probabilmente, un giorno vivremo ancora quando sapremo davvero far capolino al di fuori di questa palla blu che ci ospita.
Ponza è un isolotto abitato da poco più di tremila anime e l’arrivo a vela è stato lento, un po’ come lenta è la vita di chi in quei luoghi così belli ma così distanti dal resto ha scelto di vivere.
Ho respirato la loro aria, son tornato a casa felice.
Sono tornato a Chicago per la terza volta. La Windy city, come la chiamano gli americani, è diventata la città americana che abbia esplorato di più.
Questa volta però, prima di addentrarmi nella city ho visitato la zona di West Chicago, Saint Charles e Geneva ed è da lì che vorrei partire nel mio racconto.
Delle zone rurali dell’America del nord, conservo sempre emozioni contrastanti. Apprezzo l’innegabile senso di benessere che le casette fuori città sanno trasmettere ma al contempo ho spesso la sensazione che sia facilissimo sentirsi isolati e distanti.
Angoli deliziosi che al di fuori delle tre vie principali si trasformano rapidamente in zone a bassa densità di popolazione e con qualsiasi servizio raggiungibile esclusivamente in auto.
Nulla di incredibile per l’americano medio probabilmente ma la sensazione di un mondo non più a misura d’uomo mi ha lasciato perplesso: non so se davvero mi piacerebbe vivere lì.
Fuori dalle città tutto è concentrato in giganteschi centri commerciali preceduti da mega parcheggi. Ironicamente pensavo sempre che se mai un giorno gli americani dovessero trovare un parcheggio pieno, immediatamente spianerebbero la zona accanto per crearne uno nuovo altrettanto grande. D’altronde lo spazio lì non manca e, confrontato all’hinterland milanese, questo regalava una bellissima sensazione: tanta aria, tanto verde intorno. Anche per questo, probabilmente, le case si permettono con facilità giardini immensi (tipicamente ben mantenuti) e strade adatte a contenere il più folle dei SUV americani.
Una sera a Geneva siamo andati a prendere una birra in un locale con musica dal vivo e serata karaoke: non tutti avevano grandi qualità canore ma tutti ci provavano con grande semplicità.
Ho ri-assaggiato la Giordano’s pizza, la tipica pizza rialzata di Chicago (che nasce dalle capacità culinarie di una famiglia torinese): chiaramente non è la pizza napoletana o comunque la pizza come la intendiamo noi. La pasta è leggermente diversa (è più simile a quella che si usa in una torta salata, leggermente più biscottosa) ma nel complesso è un buon pasto. Si può avere farcita semplicemente con del formaggio o, come nella versione scelta da me, con un po’ di carne e verdure.
Dei locali americani colpisce sempre la possibilità di consumare al banco. Che sia una birra, un cocktail o un intero pasto, sgabelli e bancone non mancano mai, anche all’interno di ristoranti un po’ più raffinati. I locali poi sono sempre arredati con TV che proiettano sport 24 ore su 24.
A proposito di sport, ho colto l’occasione per andare a seguire la partita tra i Chicago Cubs ed i Miami Marlin. Devo riconoscere che da profondo ignorante la prima mezz’ora di gioco ho letteralmente faticato nel comprendere chi stesse vincendo. Il tabellone dei punteggi è strapieno di numeri alcuni dei quali non son riuscito a decifrare neanche a fine partita. Gli aspetti divertenti e diversi dai nostri son tanti. In primo luogo è apprezzabile l’aria di festa che si respira: a differenza del nostro sport nazionale, la partecipazione è adatta a qualsiasi età. Nonostante il freddo pungente (ma era un problema per me, non per loro…) ho visto anche qualche famiglia con neonato in braccio e nonostante i Chicago Cubs abbiano perso il pubblico è rimasto composto ed è andato via senza particolare (stupida) violenza da sfogare.
Gli inevitabili intervalli di questo sport sono riempiti da quiz sui tabelloni infarciti di pubblicità o da riprese al pubblico (che spesso fa il possibile per essere inquadrato). Inoltre è possibile ordinare cibo o bevande direttamente al posto, senza muoversi (cosa che gli americani gradiscono particolarmente e che si intravede in tanti altri aspetti delle loro abitudini quotidiane…). Immancabile e caratteristico ad un certo punto dell’evento il saluto all’ex-militare in pensione presente sugli spalti: gli americani sentono fortissima la loro potenza militare e spesso i locali o gli eventi hanno tariffe differenti per i veterani. Ogni azione della partita infine è accompagnata da piccoli motivi musicali che enfatizzano il risultato in positivo o in negativo. Insomma, uno show nello show, assolutamente da vivere almeno una volta.
Fare un giro dentro Chicago è stato inevitabile ma ho evitato il tour nei grattacieli avendone visitato più di uno in passato. Ho comunque colto l’occasione per fare l’«Architecture tour» sul Chicago River per scoprire qualche nuovo dettaglio su questi palazzoni così affascinanti.
Ho scoperto così che son solo due i grattacieli a Chicago che contrastano l’azione del vento attraverso un sistema di correzione del baricentro realizzato tramite grossi serbatoi d’acqua posti in alcuni piani non abitabili dell’edificio. Uno di questi è il St. Regis, quel palazzone ondulato visibile nelle foto.
Oppure, ho scoperto che la ragione per cui il «150 North Riverside» ha una base così stretta è che esiste una norma che prevede che gli edifici di Chicago devono essere distanti 35 piedi dalla riva del fiume e tale limite non ha mai avuto deroghe.
A proposito di piedi, sono in attesa che l’evoluzione umana porti all’adozione del sistema metrico decimale anche dalle loro parti. Trovo assurdo ragionare in pollici, spanne, braccia – tutte misure non proporzionali tra loro – e sentire dire al navigatore dell’auto di svoltare a destra tra mille piedi…
Emanuele
Utilizzo i cookie per essere sicuro che tu possa avere la migliore esperienza sul mio blog. Se continui a navigare su queste pagine assumo che tu ne sia felice.Ok