Tutte le barche hanno un’anima, una voce, una propria dignità: ci permettono di affrontare l’elemento liquido, per il quale non siamo stati programmati, ma in ogni momento ci ricordano quanto siamo fragili, precari, vacillanti.
Non ho memoria di aver mai fatto il bagno a Novembre. Eppure lo scorso weekend è successo anche questo.
Ho passato tre giorni circumnavigando l’Elba, quell’isola che mi era sfuggita circa un anno fa, e il beltempo (o il cambiamento climatico?) mi ha permesso di godere di qualche tuffo in quell’acqua salata che è sempre dolce assaporare.
Il vento purtroppo non ci ha fatto compagnia, così ci siamo concentrati su altre tecniche (rimorchio, ancoraggi, cartografia…). Infine, come tutte le rock-band che si rispettino, anche il nostro gruppo finalmente ha un nome ufficiale.
Non si può sperare di aprire una vasetto, versarlo su dei maccheroni e gustare un buon ragù. Anch’io, che non sono mai stato un bravo cuoco, ho imparato che fare il ragù come lo faceva la nonna è un’attività che richiede tempo.
Allo stesso modo in questo avvio di autunno tanto, tantissimo, bolle in pentola. Fatico nel trovare il tempo per fare cose banali come passare da qui e lasciare una traccia.
Sto riempiendo la vita di novità e quei momenti così sono sempre un po’ frenetici.
Concluso il giro in Inghilterra mi son ritrovato catapultato, dopo pochi giorni, in Sardegna.
A questo punto è doveroso porgere le mie scuse a tutti i sardi: ho messo piede su questa meravigliosa isola solo quarant’anni dopo esser nato. Ogni estate congiunzioni astrali differenti mi avevano portato ovunque tranne che lì.
Ho avuto modo di fare il bagno alla Pelosa di Stintino, ho assaggiato copulette e tumbarelle. Ho adorato la natura selvaggia del mare dell’Argentiera e l’acqua cristallina della spiaggia del Lazzaretto e le Bombarde. Credo che questa terra, ragionevolmente, meriti la fama di cui gode.
Mentre a Milano tornava il fresco (e la pioggia) ho avuto modo di fare un giro anche ad Alghero con la sua bellissima passeggiata sui bastioni e godere di un ultimo bellissimo cielo.
Mi è sempre stato raccontato che il sardo fosse una persona dura e schiva. Al contrario io ho incontrato solo persone iper-accoglienti che in pochi istanti ti facevano sentire a casa.
Sono ripartito con la sensazione che la Sicilia avrebbe da imparare una o due cose dalla Sardegna ma il ponte tra le due isole, per un possibile travaso, mi sembra irrealistico non solo per ragioni geografiche.
Complice un mega-matrimonio indimenticabile, quest’inverno abbiam fatto interminabili file per i passaporti delle bambine e comprato dei biglietti per l’Inghilterra.
Durante l’adolescenza Londra è stata la mia città dei sogni dove trascorsi varie estati e nella quale, nonostante più volte in questi anni abbia messo piede in Inghilterra, non tornavo dal 2005.
Io allora ero un’altra persona, Londra invece è sempre Londra e questi otto giorni mi hanno ricordato perché ne fossi così innamorato.
Ad ogni fermata di metro Londra ti catapulta in un mondo nuovo. Non penso in Italia ci sia nulla di paragonabile. Sebbene Milano sia una città con una grande capacità di trasformazione, credo che Londra giochi un campionato diverso in un melting pot di culture, tradizioni e religioni. Antico e moderno si intrecciano continuamente lasciando stupefatti ad ogni passo.
In pochi istanti passi dagli scoiattoli di Hyde Park al senso di metropoli moderna di Southbank, dal regale ponte di Londra alla orientaleggiante Soho. Dai pub sul Tamigi agli street parade di Camden Town.
Mi son tornati in mente i pomeriggi adolescenziali passati a Covent Garden a guardare gli artisti di strada, i miei hack ai totem di King’s Cross per mandare SMS alla famiglia dato che non possedevo ancora un cellulare, i miei ritorni notturni nella stanza ad Hammersmith.
Viaggiare in famiglia impone ritmi e percorsi differenti ma le figlie si son dimostrate ottime viaggiatrici tanto da riuscire ad assistere tutti insieme ad un’opera di Shakespeare al Globe Theatre o fare un giro al Tate Modern.
In cambio abbiamo seguito tutto il percorso dei grandi classici londinesi: siamo andati alla ricerca dei luoghi in cui è passato l’orsetto Paddington (ci sono un po’ di statue sparse in città), abbiamo raggiunto Peter Pan e giocato con il veliero dei pirati al Diana Memorial Playground, siamo andati alla ricerca di Mary Poppins a Leicester square.
Varie centinaia di foto dopo, con una indimenticabile guida all’inglese, abbiamo fatto una prima tappa a Weston Super-Mare, un piccolo paese sull’estuario del canale di Bristol, dove i surfisti si divertivano a cavalcare un mare gelido e un vento altrettanto tagliente nonostante la stagione. Non il tipo di mare che amo e che ho salutato qualche settimana fa, ma affascinante ugualmente a modo suo.
Infine ci siam fermati a Bristol, una pulita città inglese premiata qualche anno fa quale “Capitale verde europea” dove persino le fontane sono “balneabili“: l’acqua, mantenuta pulita col cloro, era luogo di gioco e ristoro per bambini in costume.
Proprio il verde e l’aria pulita di Bristol mi han fatto domandare più volte perché tornare su un’aereo destinato verso la pianura padana…
La mia Sicilia è una ladra. Ruba il cuore e la pazienza. La mia Sicilia è l’amante che non riesci a lasciare, il desiderio che provi a tacere, il dolce che vorresti evitare.
Passano gli anni e continuo ad amarla e criticarla, perché è maledettamente bella e disgraziatamente trascurata.
Non potrò mai davvero farne a meno, non potrò mai davvero tornarvi.
Viviamo nella parte «fortunata» del pianeta. Siamo abituati a dare per scontati e inalienabili tanti privilegi che altrove non lo sono. Questo ci rende spesso incapaci di comprendere potenzialità e opportunità offerte da tecnologie che non sembra possano migliorare il nostro mondo.
Il 7 ottobre 2023, il giorno dell’attacco di Hamas ad Israele, la vita di Yusef Mahmoud, un tassista palestinese di Gaza, è cambiata radicalmente insieme a quella di molti altri. Già prima della guerra, Gaza era afflitta da disoccupazione e fame, con due milioni di persone senza accesso all’acqua potabile.
Non ho intenzione di entrare nel merito della vicenda, sebbene continui ad avere una semplice idea molto chiara.
Da quel giorno l’intero popolo è stato paralizzato, la società devastata, i servizi di prima necessità annientati. Tutto, nella vita di molti, è scomparso e reso un semplice ricordo. Tra le cose polverizzate c’è l’intero sistema economico. I conti bancari di tutti i risparmiatori sono stati freezati, non è più possibile prelevare e si è tornati ad utilizzare baratto e contanti. Questi ultimi, chiaramente, difficili da trasportare e conservare in sicurezza.
In risposta a questa crisi, Yusef ha cercato aiuto online e durante il Ramadan del 2023, attraverso una piattaforma di crowdfunding ha iniziato a chiedere donazioni in bitcoin per acquistare beni di prima necessità per la popolazione.
Da allora Yusef ha distribuito cibo e acqua potabile a oltre 20.000 famiglie.
La natura decentralizzata di bitcoin ha permesso a Yusef di bypassare le restrizioni finanziarie e fornire aiuti diretti, rendendo questa cryptovaluta una risorsa vitale in una zona dove le transazioni bancarie tradizionali sono ormai impossibili.
Bitcoin ha dimostrato di essere più di una semplice valuta digitale: è diventato un mezzo essenziale per sostenere una comunità in crisi, mostrando – in una situazione che vorrei non avesse ulteriori seguaci nella storia – delle potenzialità che vanno oltre la nostra quotidiana immaginazione ma che da sempre sono uno dei pilastri della sua struttura.
Conosco tanti amici incapaci di comprendere in che modo le cryptovalute possano cambiare in meglio il mondo. Io da anni suggerisco di approfondire questi temi e questa triste occasione non può che ricordarci che dovremmo imparare a guardare oltre il nostro orizzonte. Esistono realtà in cui avere una moneta non censurabile, facilmente trasportabile, inconfiscabile e trasferibile a distanza può letteralmente rappresentare la differenza tra l’avere dell’acqua oppure no.
Alcuni anni fa, quando ancora partecipavo su Twitter, decisi di fare ordine nella mia casella di posta e cambiare la mail di riferimento all’interno della piattaforma. Per il social network, non si trattò di una modifica di quel campo ma di un nuovo record da mantenere. [1]
Tale comportamento è diffuso tra i vari social network. Twitter (ormai X) non dimentica. E neanche Google, Facebook o Amazon.
Quando però lo fanno, in realtà, è già troppo tardi.
Da tempo infatti si è diffusa la moda del “cancella i tuoi dati più vecchi“. Google permette di farlo, in automatico, per i dati più vecchi di 3 mesi. L’utente pensa di aver gabbato Google e di star proteggendo la sua privacy. In realtà, tutti i metadati da estrarre da quei record, sono già stati recuperati e utilizzati per migliorare il tuo profilo. Che venga eliminato il dato grezzo – a quel punto – è ininfluente per l’utente ma – addirittura – un vantaggio economico per Google (risorse in meno da mantenere).
In realtà, questi strumenti di auto rimozione dei contenuti risolvono ben poco per gli utenti. Gli esperti sostengono che nell’intervallo dei 3 mesi, Google ha già estratto quasi tutto il valore potenziale dai dati, e dal punto di vista della pubblicità, i dati diventano senza valore quando sono vecchi qualche altro mese in più.
«Qualsiasi cosa fino ad un mese è di estremo valore» dice David Dwech, capo del ramo ricerche a pagamento dell’azienda WPromote. «Qualsiasi cosa oltre il mese, probabilmente non sarebbe utile ad inserirti nel target ugualmente».
L’unico modo per non essere dei record permanenti di queste grosse società è l’utilizzo di strumenti alternativi, etici e rispettosi della privacy. Esistono.
Riprendiamoci i nostri dati.
Emanuele
[1] Se vi vien voglia di verificare, sappiate che nei vostri profili social è ormai presente per legge una sezione attraverso la quale scaricare tutti i vostri dati. Questa è quella di Twitter (attraverso la quale potrete verificare che – appunto – la nuova mail è diventato un nuovo record), questa quella di Google.
Anima mia, fa’ in fretta.
Ti presto la bicicletta,
ma corri. E con la gente
(ti prego, sii prudente)
non ti fermare a parlare
smettendo di pedalare.