Ieri sera ho finito di leggere “Le Braci” di Sándor Márai, l’ennesimo libro bevuto in poco più di 48 ore.
Difficile dare un parere equilibrato perché questo libro mi ha sorpreso da tanti punti di vista. Il primo, il più visibile a chi si accinge a leggerlo, è la forma in cui è raccontata la storia: tutto, infatti, prende vita attraverso un monologo quasi ininterrotto lungo l’intero libro. Un soliloquio incredibile e sicuramente di grande impegno durante la sua stesura. Riuscire a trasformare tutto nelle parole di un personaggio è un’impresa non da poco. Devo constatare però che lo stile narrativo non sempre mi ha fatto impazzire: certi passaggi mi son sembrati fin troppo prolissi e, sorridendo – tra me e me – mi dicevo “mai incontrare il generale di guardia per strada!”. Probabilmente la minuzia con cui venivano descritte certe scene risultava – a tratti – pesante.
Se però lo stile è una vera scommessa e, probabilmente, anche una rarità, risulta piacevolissima l’introspezione di quest’uomo raccontata nei più effimeri dettagli e da ogni sfaccettatura possibile. Un modo intenso di comprendere il perché della propria esistenza e di tutto ciò che ne aveva fatto parte. Sembra quasi di averlo di fronte, quest’uomo – ormai anziano – che per buona parte della sua esistenza ha rimuginato, smontato e rimontato in qualsiasi modo possibile l’esperienza che segnò per lui l’inizio di una nuova fase della sua vita. Incredibile la capacità di Márai di immergersi in un mondo così complicato come quello dei sentimenti riuscendo a fornire – comunque – vari spunti di riflessione durante la lettura.
C’è troppa tensione nel cuore degli uomini, troppa animosità, troppa sete di vendetta. Guardiamo in fondo ai nostri cuori: che cosa vi troviamo? Una passione che il tempo ha soltanto attutito senza riuscire a estinguerne le braci.
Tratto da: “Le Braci” di Sándor Márai
A tratti, il libro, mi ricordava l’atmosfera che le storie di Shakespeare trasmettono con quegli intrecci intensi, carichi di passione, disperazione e – al contempo – di brama di rivalsa e sete di soddisfazione.
Un libro che non so se consiglierei, soprattutto a chi non è un accanito lettore. Interessantissimo invece, per un aspirante scrittore, lo stile narrativo.
Emanuele
Non c’è parola adatta per descrivere l’epicità del romanzo Le Braci. L’ho letto tutto di un fiato, non riuscendo quasi mai a fermarmi perché la sensazione che trasmetteva coinvolge il lettore fino a livelli altissimi, in un crescendo di pensieri reconditi, verso l’odiato amato amico. Il protagonista ci porta dentro un mondo ormai lontano, dentro un’amicizia che un giorno finisce senza lasciar tracce, dettata forse da ombre nascoste dietro angoli bui.
Dopo quarantun anni, due uomini che da giovani sono stati inseparabili tornano a incontrarsi in un castello ai piedi dei Carpazi. Uno ha passato quei decenni in Estremo Oriente, l’altro non si è mosso dalla sua proprietà. Entrambi hanno vissuto in attesa di quel momento. Null’altro contava, per loro. Perché condividono un segreto che possiede una forza singolare. Tutto converge verso un “duello senza spade” – e ben più crudele. Tra loro, nell’ombra, il fantasma di una donna. E il lettore sente la tensione salire, riga dopo riga, fino all’insostenibile.
Il libro di Màrai è particolare, è riuscito a costruire la storia di una vendetta che usa come sue armi le parole che come lame feriscono l’avversario senza lasciargli possibilità di difesa. Portando dietro di esso tutti i pensieri e le domande che quarantun anni di assenza hanno fomentato, fino alla parte finale del duello, dove ormai non conta più chi vince o chi perde, né i motivi che hanno spinto i duellanti a ingaggiarlo, perché se arrivi a comprendere la verità: vuol dire che sono arrivate la vecchiaia e la morte.
Ma che, ti diverti a ricopiare sempre lo stesso commento preso da Google? 😮
Ciao,
Emanuele
Trovai molto interessante lo stile narrativo di Sandor Marai e sicuramente affermo che è un libro ben scritto; ci sono descrizioni perfette, attente, per nulla banali, tanto da riuscire ancora oggi a disegnare-con minuzia di particolari- nella mia testa alcune scene descritte (e son passati 3 anni da che l’ho letto)ma…. ma la storia mi parse una lunga “pippa mentale”.
Capisco il mio commento potrà non piacere, ma in che altro modo definire uno che per, quanti anni, non ricordo, forse 30? insomma per decenni non fa che pensare sempre alla stessa cosa, alle cose da dire e da fare, mettendo la sua vita in una sorta di stand by, ancorandola ad un evento del passato e condizionandola ad un evento futuro e pertanto incerto.
Sisi, il libro è molto particolare, ogni tanto però è talmente minuzioso che mi è sembrato forzato. Come se la scorrevolezza naturale della descrizione venisse rovinata da una volontà fin troppo marcata dello scrittore di giocare sui particolari. Come se l’esercizio di stile fosse predominante sulla bellezza della storia, ecco.
Ciao,
Emanuele
VI dirò che per me, tutto questo l’ha reso incredibile, perché pensare che una persona abbia vissuto la sua intera esistenza pensando ad un solo momento è stupendo e al tempo angosciante
Esattamente Emanuele, è stata la mia stessa impressione: un (buon) esercizio di scrittura… anche se, comunque, la forzatura nei dettagli l’ho letta come perfettamente compatibile con l’ossessione della attesa vissuta dal protagonista. Tuttavia, nel dubbio che questo sia proprio lo stile di Marai, non ho avuto lo stimolo di acquistare un altro suo libro.
P.s: ieri ho acquistato e finito (andate e ritorno sul treno, tempo impiegato 2 ore e mezza ca.) l’ultimo libro di Niccolò Ammaniti (“(Io e te”),se fai un salto il libreria vedi se ti sceglie 🙂
Ciao ciao!
[…] Cosa penso del libro l’ho già scritto qui. […]