La solitudine dei numeri primi

Copertina de: "La solitudine dei numeri primi" di Paolo Giordano

Ieri sera ho finito di leggere “La solitudine dei numeri primi” di Paolo Giordano… e se dovessi usare le parole del libro per esprimere un giudizio, direi che – a fine libro – mi è rimasto in gola un bolo di aghi e saliva.

Un romanzo complicato ma allo stesso tempo scorrevole. Il titolo poi, così azzeccato e per nulla banale, riesce a rispecchiarsi in tantissime occasioni all’interno della storia.

Un’infinità di parole non dette. E’ questa la cosa che mette più angoscia.

I pensieri, destinati sempre a fermarsi e morire sulla punta della lingua, senza diventar voce, opinione o cambiamento.

Ormai l’aveva imparato. Le scelte si fanno in pochi secondi e si scontano per il tempo restante.

L’emblema dell’intera storia è forse questa. La timidezza, l’incapacità di prendere saldamente il timone e condurre dove si vuole la propria vita. Desideri interni che tacciono fino alla fine, invece di venire a galla, esplodere con decisione, fermezza e… naturalezza.

Bello anche il finale, un romanzo “non romanzato” ma comunque capace di far sognare. Nessun lieto fine, ma neanche un totale disfacimento.

I due personaggi principali portano dentro per tutta la loro vita un evento che li segnò negativamente durante l’infanzia. Fantasmi di cui non seppero mai liberarsi pienamente.

Per la prima volta, avvertì tutto lo spazio che li separava come una distanza ridicola. Era sicura che lui si trovasse ancora là, dove gli aveva scritto alcune volte, molti anni prima. Se lui si fosse spostato, lei l’avrebbe percepito in qualche modo. Perché lei e Mattia erano uniti da un filo elastico e invisibile, sepolto sotto un mucchio di cose di poca importanza, un filo che poteva esistere soltanto fra due come loro: due che avevano riconosciuto la propria solitudine l’uno nell’altra.

Ieri sera ho chiuso gli occhi pensando a quelle due vite destinate alla distanza, ad una distanza che non volevano ma non sapevano eliminare.

Emanuele

10 commenti » Scrivi un commento

  1. E’ da un pò nella lista dei libri che vorrei leggere. La descrizione che ne hai dato tu mi ricorda qualcosa che mi sembra di conoscere

    • Penso di capire a cosa ti possa riferire. Io invece vivo sereno anche per questo, penso di aver sempre detto tutto sinceramente “fino all’ultimo”. Però decisi di non dipendere da niente e nessuno, non perché non importanti, ma perché qualsiasi dipendenza non è amore e libertà.
      Comunque non aspettare una vita per dire ciò che hai dentro, è brutto vivere di rimpianti. Buttati, la vita è una sola e sicuramente non si ferma ad aspettarti! 🙂
      Ciao,
      Emanuele

  2. Emanuele, il libro mette tristezza, ma deve essere molto bello, profondo ed ispira alla riflessione… Almeno così traspare leggendo le poche righe che hai pubblicato.

    • Beh in realtà secondo me, tra i libri che ho letto, non è tra quelli che spinge di più alla riflessione. Si tratta di un romanzo in fin dei conti. Molto più riflessivo sarà invece il libro che ho iniziato oggi “La fine è il mio inizio” di Tiziano Terzani.
      Ho già preparato una matita questa volta… ho letto ancora solo il primo capitolo ma ho trovato tantissime riflessioni interessanti.
      Ciao,
      Emanuele

  3. Ema, si certo hai ragione, ma non mi riferivo a rimpianti che ho. Pensavo più che altro al fatto che occorre trovare il momento giusto per dire le cose alle persone, se non si vuole ferirle o colpirle al cuore in maniera gratuita.
    Il mondo è pieno di parole non dette, tra amici e persone che si hanno intorno. E che alla lunga creano dissapori. In realtà il discorso sarebbe abbastanza strutturato, per questo vorrei leggere questo libro. Magari Paolo Giordano ha trovato le parole giuste senza che io debba ripetermi.

    • No, purtroppo questo libro non è uno di quelli che “da risposte”. Pensavo proprio a questo, ieri sera, mentre rispondevo a Federico. C’è la descrizione di una realtà molto chiusa, non spunti (dell’autore) su come questa possa cambiare. Le piccole briciole di “cambiamento” che i protagonisti paventano, sono riflessioni che scompaiono mezzo rigo dopo, dovute proprio ai caratteri un po’ troppo alienati. Distanti per certi versi da ciò che son io, o che sicuramente sei tu.
      Le parole non dette esistono, io però cerco sempre di non tenerle dentro. Possono far male certe volte… ma molto meglio dirle in faccia che tenerle dentro secondo me!
      Ciao,
      Emanuele

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