Alcuni anni fa, durante i miei mesi in Cina, notai un fenomeno interessante: Shanghai era strapiena di mezzi e servizi avanzatissimi: c’erano treni da 300km/h per raggiungere quasi tutte le principali città, il treno verso l’aereoporto era a levitazione magnetica, alcune linee della metropolitana erano senza conducente e tutto funzionava meravigliosamente.
L’unico punto che strideva erano i cinesi: il boom economico degli ultimi quarant’anni non era stato accompagnato da un’altrettanto rapida crescita culturale. Galline in giro per i quartieri, vecchietti in canottiera che mangiavano fiori di loto su una sediolina sgangherata appoggiata ad un grattacielo o i bambini che facevano pipì nei cestini spegni-sigarette dentro le metropolitane. Un mondo iper-tecnologico trattato senza una vera educazione.
Da alcuni anni ho una certa insofferenza e intolleranza verso tutti i servizi digitali che, silenziosamente e subdolamente, ti trasformano da utilizzatore a utilizzato.
Utilizziamo applicazioni e device di cui non capiamo ciò che fanno, se non quello che mostrano in copertina.
Ho la netta impressione che l’esplosione dell’informatica nell’ultimo ventennio, similarmente alla situazione cinese, non sia stata corrisposta da una educazione all’uso della stessa altrettanto veloce. Questo divario ha permesso a tante aziende di approfittare dell’insensibilità dell’utenza per alzare l’asticella del data-mining – l’attività di estrazione di dati personali – sempre più in alto.
«Siamo tracciati, è inevitabile». Questa frase accompagna ogni confronto con amici più o meno legati al tema. E’ vero, siamo tracciati. Ho sufficiente consapevolezza di ciò che sta dietro i servizi online per comprendere che è difficile, se non impossibile, evitare una qualsiasi forma di tracciamento.
Ciò che però non mi convince è quell’inevitabile che fa seguito. Sono cresciuto con l’idea che nulla sia impossibile nella vita, basta non rimanere nel proprio torpore e sperimentare alternative.
Controlla il tuo destino o lo farà qualcun altro.
Da mesi ho iniziato un percorso di riflessione su ciò che è necessario e su ciò che è superfluo della mia vita digitale. Ad esempio, circa un anno fa, ho eliminato Instagram per ragioni a me chiarissime.
Il mio non è un tentativo di ascetismo new-age, come dicevo ho chiaro che per eliminare ogni tipo di schedatura l’unica possibilità odierna sia quella di spegnere cellulare e computer ma non credo certamente che sia una via percorribile.
Avete presente quando al supermercato vendono uova da allevamento a terra e uova da allevamento intensivo? Di fronte alle due possibilità fate una scelta: spendere qualche euro in più vi sembra eticamente corretto. Tale scelta mostra ai produttori la vostra preferenza in qualità di consumatori e può orientare il mercato.
Allo stesso modo ho iniziato la dismissione della mia casella GMail ad un provider alternativo (ne parlerò più in dettaglio prossimamente), ho abbandonato Dropbox e Google Drive dopo aver individuato una nuova strada per avere dei documenti condivisibili in mobilità e così via.
Scelte etiche. Roma non fu costruita in un giorno e neanche la diffusione dei miei dati personali verrà eliminata in pochi mesi. Come consumatore però posso, inconsapevolmente o per pigrizia, permettere di alimentare o meno le aziende che notoriamente fanno dell’estrazione silenziosa dei miei dati un modello di business.
Sarà un percorso lungo, non ho ancora trovato alternative sufficientemente comode ad Amazon o a Whatsapp, ma sono nel mirino anche loro.
Non voglio vivere tutta la vita come un prodotto. Internet rispetto a vent’anni fa è tutto un altro posto, la piega che ha preso non è quella che avrei desiderato così… è giunto il momento di crescere.
Emanuele
Notevole ed onorevole intendo Emanuele. Lo condivido appieno idealmente, nella pratica almeno al momento faccio fatica a seguirti.
Speriamo nei prossimi mesi di avere la calma, il focus per cominciare a perseguire questo obiettivo (tra i tanti che sto e voglio).
[…] Potrei continuare all’infinito ma la cosa importante da sapere è che Google – fin dal 2004 – dichiarò di scansionare le email al fine di profilarci. In pratica siamo prodotti. […]
[…] Il mio non è un tentativo di fuga dalla tecnologia quanto un uso più intelligente ed educato della stessa. Come dico da tempo, non voglio vivere più come un prodotto. […]
[…] che non regalo i miei dati d’uso e configurazione a RainBird (sapete come la penso circa la dispersione dei nostri dati) inoltre la app di RainBird dipenderà sempre dalle politiche di sviluppo della società: se tra 10 […]
[…] L’unico modo per non essere dei record permanenti di queste grosse società è l’utilizzo di strumenti alternativi, etici e rispettosi della privacy. Esistono. […]