Scusatemi, avevo necessità di fare silenzio. Mio zio è ancora molto grave, ricoverato su un letto che – conoscendolo – non lo ha mai visto per così tante ore del giorno. Sono stati giorni molto intensi, giorni fatti di scelte importanti. Quando ti scontri con etica, religione, vita terrena, è sempre così.
I medici hanno inserito un tubicino collegato fin dentro la scatola cranica. Lo sta aiutando a diminuire la pressione del sangue versato all’interno ma la situazione è ancora instabile.
Stava immobile nel letto con le gambe inesistenti,
e una piaga sulla bocca che seccava il suo sorriso…Alberto Fortis – La sedia di Lillà
Ieri, forse perché volevo esser positivo come tutti gli altri giorni dell’anno, quando sono andato a trovarlo l’ho salutato con l’entusiasmo che avrei avuto di solito: “Ciao zio, sono Emanuele!”. Non mi aspettavo reazioni e invece – miracolosamente – ha aperto per pochi istanti gli occhi e mi ha guardato. Era la prima volta che aveva una reazione simile dopo due giorni infernali. Oggi è nuovamente assopito, coccolato in chissà quali pensieri.
La scelta più dura, per noi familiari, è capire quanto sia giusto spingersi nell’aiutarlo con dei macchinari in opposizione al rispetto delle sue volontà e, magari, di una serenità che potremmo persino stare posticipando.
Ho riflettuto molto su questo in queste ore e, per la prima volta nella vita, mi son reso conto quanto sia difficile e sofferta qualsiasi direzione venga intrapresa. Non tentare nulla sarebbe stato condannarlo. Tentare qualcosa invece… a cosa lo condanna? Non si sa ancora quali organi torneranno a funzionare. I medici, al momento, sono concentrati tutti sulla sopravvivenza del corpo piuttosto che sul recupero di abilità. Quello è secondario.
E’ secondario per i medici (ovviamente) ma… può anche esserlo per noi e per lui? Dov’è il confine tra la morte naturale e la morte dopo ulteriori stress? Quand’è che l’uomo deve arrendersi e deve iniziare a “sperare” per il riposo eterno piuttosto che per una sopravvivenza fisica e terrena di un corpo che da giorni è immobile su un letto? Qual è la forma di rispetto più giusta, in relazione anche alla vita di fede di mio zio? Fin dove dobbiamo spingerci?
E’ un regalo – se mai dovesse risvegliarsi – condannarlo ad una vita immobile o fortemente debilitato (senza capacità di parlare, muoversi… forse sentire)? Morire, certe volte, può diventare la meta più difficile da raggiungere. Dentro me continuo a sperare, ma è palese che son combattuto. Vorrei regalargli la migliore serenità, non quella dettata dall’egoismo umano né quella dovuta dalla fede. Eppure, proprio la fede, mi aiuta a razionalizzare (ah! Che bel contrasto tra termini questo!) e mi spinge a pensare ai progetti più grandi di Dio, piuttosto che a scelte piccole dell’uomo. Qual è il limite?
Emanuele
Se ne discuteva (animatamente) oggi a lezione proprio su quanto sia giusto PER NOI mantenere viva la persona ed insieme la speranza; si parla di egoismo da una parte e di incoscienza dall’altra…sta di fatto che è difficile capire cosa è giusto, anche per noi che non stiamo in nessuna delle due parti ma gestiamo i macchinari!
Certo che è strano, ma forse ho capito male, che tuo zio abbia una posizione contraria all’aiuto dei macchinari.
Sono domande su cui si discute sempre con troppa immaturità, anche a livello politico, arrogandosi di poter capire cosa ciò significa senza comprenderlo fino in fondo.
Mio zio era dell’idea, molto naturale, del “finché Dio vuole che sia qui, sarò qui”. Ed è un concetto così profondo che in effetti non si può smontare facilmente. In questi giorni sto capendo meglio quanto sofferte siano certe scelte, soprattutto quando qualsiasi strada venga intrapresa lascia comunque un dubbio e la paura di non star facendo né il bene di quella persona né la volontà di Dio. Fino a quanto si può parlare di “cure mediche” e non di tentativi di sostituzione dell’uomo a Dio? Al contrario però, se il nostro Dio, è un Dio della vita, perché mai dovrebbe indurmi a non tentare qualsiasi mezzo? La risposta a questo dilemma è distantissima e difficile, soprattutto quando ci si scontra direttamente e non se ne sta – semplicemente – discutendo. Abbiamo dovuto scegliere e al momento la strada intrapresa è quella della medicina, però ogni volta che lo vado a trovare, su quel letto, non so se esser felice per lui che è ancora “qui” in quella forma molto distante da ciò che chiamiamo “vita”, o se dovrei augurarmi che quel respiro flebile possa fermarsi per godersi la Nuova Vita. Gli occhi diventano rossi… ed è tristemente vero che a livello politico si fanno tante chiacchiere senza porsi mai dinanzi al problema in maniera concreta. E’ facile arrogarsi diritti e sentenze quando si è distanti da certi problemi.
Continuo a pregare per lui, continuo a pregare perché Dio dia a tutti noi, in questi giorni, la capacità di scegliere “nella sua volontà” e non seguendo quella dettata da altri schemi.
Ciao,
Emanuele
Dubito anch’io che a livello politico si riuscirà a raggiungere qualcosa.
A tuo zio auguro che ciò che sarà o che si dovrà fare sia chiaro a tutti voi che gli siete vicino e che, se fosse necessario, potreste essere chiamati a fare una scelta. Per mia esperienza personale, penso che la cosa più importante sia la sua sua volontà: “finché Dio vuole che sia qui, sarò qui”. Le decisioni partono da lì…
Un abbraccio! Ciao
Grazie per l’augurio Salvo. Al momento credo che questa situazione si prolungherà molto ma non voglio sbilanciarmi troppo, comunque è vero che van rispettate le sue volontà ma è anche vero che rimane difficile accettare certe cose ed è bruttissimo doversi ritrovare a decidere per la vita di un altro essere, indipendentemente dal grado di parentela.
Ciao,
Emanuele
Fa piacere sapere che anche nelle gerarchie della chiesa girino persone come tuo zio. Io la penso esattamente come lui. Sapere che poi lui abbia avuto a che fare con il Papa mi da speranza.