Ascolta.

Ti do un consiglio. Questo post non leggerlo se intorno a te c’è confusione. E’ una storia vera, non è un racconto. Vorrei che riuscissi a provare o solamente immaginare ciò che quella sera sentii io. Se necessario salva la pagina e riaprila questa sera, in un momento tutto tuo. Ti racconto di come, una sera, trenta persone, han visto e fatto l’amore.

~~~

Ci chiusero gli occhi. Iniziò tutto così, mentre eravamo in cerchio nell’atrio di un antico palazzo di Napoli.

Una semplice benda sugli occhi, pronta a nascondere il mondo che eravamo abituati a vedere. Ci chiusero gli occhi per farci conoscere il mondo ancora meglio, ma questo aspetto, probabilmente, lo sottovalutavamo.

Quel buio era strano, fitto, intenso. Aprivo gli occhi ma non bastava. Non c’era alcuno spiraglio di luce e istintivamente iniziai a giocare sotto quella benda. Cercavo di “abituarmi all’oscurità” tentando di sforzare gli occhi come si fa quando si entra in una stanza con pochissima luce e si cercano punti di riferimento.

Sebbene mi sforzassi, però, non riuscivo a vedere nulla e questo rendeva l’esperienza ancor più interessante.

Istintivamente, iniziammo ad usare, un po’ tutti quanti, i sensi che ci rimanevano. In primis le orecchie. Ogni voce divenne sorprendentemente importante. Non era il caso perdere una sola parola perché sarebbe potuta essere utile. Ci si ascoltava ed era un ascolto attento e profondo. Le parole di due persone evitavano di accavallarsi. In un dialogo si attendeva sempre la fine dell’altra persona.

Ci unimmo tutti insieme, prendendoci per mano, ed è li che scoprii quanto importante fosse quel gesto. Avevo paura di perdere la mano che mi precedeva lungo il cammino che iniziammo a fare e, allo stesso tempo, cercavo di offrire una presa salda a chi mi seguiva: sapevo che, al pari di me, quelle dita, quel palmo, erano la sua ancora di salvezza. La sua guida verso un posto senza ostacoli. L’unico mezzo per raggiungere la stanza che ci aspettava. Ripensai a quante volte nella vita abbiamo bisogno di un esempio, di una persona che possa indicarci un modo valido per perseguire certi ideali. Ripensai a quanto importante quella persona, inconsapevolmente, diventava per noi. Pensai anche a quanto importante sia l’esempio che diamo a chi è dietro di noi perché, a sua volta, è lei a mirare a noi.

I passi erano piccoli, il piede era così attento a dove si posava che avrei potuto dire con certezza se in quell’istante ero sul cemento o sul marmo. Attenzione, concentrazione… non stavo vivendo “per caso”, stavo vivendo sfruttando il mio corpo al meglio.

Era una continua scoperta. Mi era stata negata la vista ma, gradatamente, stavo “vedendo” quanto il mondo fosse strano e me ne accorgevo con maggiore intensità.

Arrivammo in una stanza con una lunga tavolata. Ci venne detto di prender posto su una sedia e per questo lasciammo le mani di ogni compagno di strada.

La cena ebbe inizio con un rito inaspettato: dovevamo preparare la tavola noi stessi. Le posate, i piatti, i bicchieri, erano locati in varie zone al centro della tavola.

Mi accorsi di quanto difficile fosse coordinare delle persone che non sanno neanche dove trovare ciò che cercano e ripensai, così, a tutti coloro che nella vita vivono senza meta. Fanno confusione, chiedono e dipendono in tutto e per tutto da chi ha scoperto qualcosa che però non sempre è pronto a condividere con gli altri ciò che ha. Cercai di fare silenzio il più possibile, attorno a me in quel momento iniziai a sentire una Babele moderna, tutti contraccambiavano qualcosa ma nessuno si capiva realmente. Passò un bel po’ di tempo prima che tutti riuscirono ad avere piatto, bicchiere e posate.

Cenare insieme, senza vedere cosa ci veniva servito ma semplicemente fidandoci dell’olfatto fu un’altra esperienza che non sottovalutai. Mi venne in mente chi “fiuta” le occasioni nella propria vita. Si riesce ad annusare veramente qualcosa solo quando si fa molta attenzione. Non serve un naso particolare. Serve solo attenzione.

Tutto aveva un sapore diverso, tutto era un gioco che quella sera non avrei voluto interrompere. Mi accorsi di quanto un gesto semplice come il versare l’acqua fosse diventato complicato senza la vista: era necessario tenere un dito leggermente infilato nel bicchiere per riconoscere il livello e non versarla fuori.

L’ordine era importante. Non mi accontentavo di posare il tovagliolino o la forchetta da qualche parte. Dovevo averla in un posto che avrei ricordato al volo altrimenti sarebbe stata l’ennesima ricerca.

Dopo cena, come se l’esperienza vissuta non fosse stata sufficiente, iniziò un momento ancora più intenso.

<< Rilassatevi… >>.

Una voce tranquilla, dopo averci fatto alzar da tavola ci invitò ad abbandonare il nostro corpo.

<< Lasciate correre la vostra mente, mettetevi comodi. Sdraiatevi a terra, allargate le braccia sul pavimento, togliete le scarpe se lo sentite necessario. Ascoltate il vostro respiro… >>.

Bellissimo. Il pavimento ghiacciato mi punzecchiava lungo tutto il corpo tanto da farmi avere persino qualche brivido, però non volevo cedere. Iniziai a concentrare le mie energie, cercai di convincermi che io, col mio calore, avrei potuto riscaldare il pavimento. Mi resi conto di come il nostro corpo, sdraiato su un pavimento, non posi uniformemente e certe zone diventa persino difficile metterle a contatto col terreno. Il mio corpo sentiva freddo, ma non tutte le parti del corpo lo sentivano direttamente.

Nel mentre riconobbi le note di una canzone di Einaudi a seguire quelle di Enya. In quel silenzio, tra quel freddo che si trasmetteva dalle mie dita che poggiavano a terra fin sul naso che guardava il cielo, immaginai questo gruppo di persone, sparso su quel pavimento, ancora bendato che probabilmente stava vivendo – silenziosamente – le mie stesse emozioni. Trenta corpi distesi, con le gambe probabilmente un po’ aperte e le braccia lungo i fianchi.

<< Siamo in un bosco. Puoi sentire l’erba sotto i tuoi piedi e il vento lieve che smuove lentamente le cime degli alberi. Stai attraversando quel bosco… >>.

Quella voce iniziò a farci viaggiare. Finimmo in un prato verde e tornammo nuovamente nel bosco. Gli occhi erano ancora chiusi ma quel bosco l’ho in mente ancora oggi e mi sembra d’esserci stato realmente.

Lentamente il viaggio finì e ci fu chiesto di risvegliarci e rialzarci.

Avevo mangiato come un cieco e avevo imparato ad ascoltare. Avevo viaggiato per una dozzina di minuti in un bosco, imparando ad ascoltare me stesso e, a quel punto, mi sarei aspettato tutto tranne che vivere uno dei momenti più belli e intensi di questi ultimi anni.

La voce disse che in fronte ad ognuno di noi c’era una persona e ci invitò a conoscerla attraverso i nostri polpastrelli. Una richiesta così strana e inaspettata che mi incuriosì immediatamente.

Le mie dita incontrarono quelle di una ragazza. Lo avvertii dal fatto che le dite erano affusolate, piccoline.

Iniziò tutto lentamente. Prima due dita, poi tre, poi quattro. Poi le dita che si avvolgono, che esplorano il dorso e il palmo, che tornano indietro e poi, come onde del mare, che tornano avanti perché si cercano ed hanno voglia di conoscersi. Ci fu lasciato del tempo per lasciare che le nostre dita parlassero.

Mi faceva impazzire la scena che immaginavo. Due persone in piedi, in silenzio, bendate, che si sfiorano i polpastrelli e che non pronunciano neanche mezza parola.

<< Adesso, conoscetevi attraverso una carezza. >>.

La voce si fece nuovamente viva e solo due mani continuarono a stringersi. Le altre due salirono fino al volto. Scoprii che la ragazza che avevo, in piedi, di fronte a me, mi arrivava alla spalla. La sua pelle era liscia, tanto da sembrarmi perfetta. Intanto sul mio volto la sua mano mi accarezzava. Scopriva i miei zigomi. Attraversava la mia barba incolta da vari giorni. Si fermava col palmo cercando di cullarla e sfiorava ogni tanto le mie labbra. Non sapevo chi fosse quella ragazza, ma riusciva a farmi vivere delle emozioni incredibili. Sembra quasi sapesse come fare per trasmettermi ciò che, io, volevo sentire.

La voce parlò di nuovo.

<< Adesso, conoscetevi attraverso un abbraccio e trasmettetevi tutto l’amore che avete in corpo. >>.

Scoprii che le mani che avevo accarezzato appartenevano ad una ragazza bassina e magrolina. Aveva dei capelli lisci, corti fino alla spalla. Non so perché ma li immaginavo neri e solo oggi mi rendo conto che in fin dei conti quel dettaglio era semplicemente frutto della mia fantasia. Le spalle lasciavano sentire facilmente omero e scapola.

Strinsi il suo corpo al mio e le sue braccia, partendo al di sotto delle mie, cercavano le spalle. La mia felpa in cotone sembrava perfetta per le sue mani che scorrevano lungo la mia schiena.

Avevo i brividi. Stavo provando qualcosa di così intenso che sarei voluto rimanere cullato in quell’abbraccio in eterno. Io cercavo di trasmetterle proprio questo pensiero. Il suo maglioncino, un po’ spinoso, stuzzicava i miei polpastrelli. Era il tessuto ideale per sfogare i miei brividi. Mi trasmetteva calore.

Sentivo il suo respiro sul mio petto e questo mi spingeva ad allargare le mani cercando di coccolare il suo corpo il più possibile.

In quel silenzio, stavo ricevendo amore da una persona che non conoscevo e stavo trasmettendo il mio.

Fu in quel momento che mi accorsi di quanto fosse semplice trasmettere vero amore e di quanto invece sappiamo renderlo complicato tenendo gli occhi aperti. Al volo mi spiegai perché due innamorati quando si baciano chiudono gli occhi e perché sembri squallido e freddo baciarsi lasciandoli aperti.

L’amore non è qualcosa che si trasmette con gli occhi. Mi tornò in mente, a quel punto, quella bellissima frase de Il Piccolo Principe: “l’essenziale è invisibile agli occhi” e mi accorsi che stavo vedendo proprio l’essenziale.

Tutta la sera non avevo fatto altro che vedere l’essenziale.

Ancora bendati, ci fu chiesto di raccontare un po’ ciò che avevamo provato.

Io dissi che i miei occhi avrei voluto non aprirli più. Quella sera avevo dato e ricevuto tutto ciò che realmente conta nella vita. Dalla mano salda che mi guidava, all’attenzione che oserei definire sacra quando parlavo durante la cena, ad uno degli abbracci più intensi, sensuali e carichi d’amore che abbia mai ricevuto.

Emanuele

PS: la ragazza che ho abbracciato non l’ho riconosciuta. Qualcuno nel gruppo riuscì a capire chi aveva abbracciato. Io ho preferito conservare questo dubbio affinché ciò che avevo provato non venisse intaccato in alcun modo, né in positivo né in negativo dall’aspetto e dai pregiudizi che potevo avere io di quella persona. Ad oggi non conosco il suo nome ma so che ciò che è stato è quasi indescrivibile.

PPS: sembrerà strano a dirsi, ma ho avuto invidia dei ciechi. Vedono un mondo migliore e probabilmente nessuno glielo ricorda mai…

8 commenti » Scrivi un commento

  1. non so se è vera la tua esperienza ma è stata simile alla mia in un altro tempo, in un’altra dimensione,il corso di yoga che frequento,ma in comune abbiamo ricevuto e donato AMORE attraverso un’abbraccio di cuore e non importa a chi nè se lo conosciamo.nella consapevolezza,nell’ascolto,nell’attenzione.
    è qualcosa che rimane dentro e che stai RISCOPRENDO ma che ha SEMPRE fatto parte di te
    un abbraccio

  2. kos… certo che è vera! E’ stata un’esperienza sconvolgente e totalizzante. Ogni parte del corpo sembrava utile e l’abbraccio finale è stato qualcosa di grandioso. Avevo i brividi e li ho tutt’ora quando ci ripenso!
    Ciao (e auguri!),
    Emanuele

  3. Se raccontassi alla mia ragazza questo dettaglio del tuo cfa non credo mi manderebbe più… 🙂

    Mik.

  4. non metto in dubbio la tua esperienza,anzi ne sono felice!questa esperienza ti sarà utile quando userai gli OCCHI al posto di usare gli occhi del cuore.un ulteriore passo è vedere e donare anche con gli occhi aperti.anche chi non ti conosce e non rivedrai mai più.anche ti è stato sgarbato e maleducato o chi ti ha fatto del male.un passo alla volta.ciao

  5. Eh kos… ciò che hai detto si tenta di farlo giornalmente. Gli occhi bendati aiutano a riconoscere difficoltà e necessità e il vero esercizio alla fine è camminare senza bende e imparare a “non vedere” nello stesso tempo. In quel momento aguzzi la sensibilità e impari a Dare nel vero senso della parola.
    Come dici tu… un passo alla volta! 🙂
    Ciao,
    Emanuele

  6. Si avevo letto sul tuo blog dell’esperienza. Chiudere gli occhi è qualcosa che non siamo abituati a fare e che ci permette di VEDERE tanto altro. Dovremmo dargli più spazio nelle nostre giornate…
    Ciao,
    Emanuele

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