Nato per gioco.

Viaggiare. Ecco cosa amava fare Elena. Aveva scoperto questa passione da piccola, quando suo padre durante le vacanze estive non perdeva mai occasione per farle conoscere nuovi paesi. Non si allontanava mai tanto dal suo in realtà, però quelle ore passate in auto furono sufficienti per farle capire che il mondo si estendeva ben oltre i 5 chilometri quadrati scarsi che, dalla Chiesa del paese arrivavano fino al cimitero, attraversando un lungo viale con un’unica curva verso sinistra.

Le era entrato nel sangue e l’aria che filtrava in quella vecchia Fiat un po’ arrugginita attraverso un finestrino tenuto sollevato per i tre quarti grazie ad una molletta da bucato, le sembrava qualcosa di incredibile. Come se, fino a quel momento, l’unica aria esistente dovesse essere stata, per una strana congettura della sua mente, quella che le case del suo paese potevano trattenere.

A diciott’anni, un paio di giorni dopo la fine della scuola, l’occasione della sua vita, quella che cambia per sempre la storia di una persona, bussò insistentemente alla sua porta.

Erano le 15, il sole picchiava forte sul paesino sperduto tra le colline e tutto quel che le andava di fare era rimaner sdraiata sul divano guardando fuori dal balcone, con le gambe che pendevano oltre il bracciolo alla ricerca di aria fresca. Il cielo oggi è di un azzurro spettacolare, pensò. Qualche insetto ogni tanto veniva a disturbarla, mentre giocava con una pallina di gomma sul suo ventre, ma sembrava non curarsene più di tanto.

A rompere il silenzio di quel pomeriggio d’inizio estate fu il rumore di una vecchia lambretta, probabilmente poco curata, che si andava avvicinando speditamente verso la palazzina in cui abitava. Via Palmiro, era una delle vie più antiche del paese. Distava circa duecento metri dalla Chiesa e aveva ancora il tipico pavè a pietra larga costruito alla fine del secolo scorso. Il vecchio macinatoio, sito all’inizio della via, era ormai chiuso da tempo. L’industrializzazione aveva portato via ogni speranza di sviluppo nel paese che, di anno in anno, vedeva i giovani partire verso le grandi città. Era strano che un’auto passasse da quelle parti. Le uniche che, dirette da una città all’altra, attraversavano il paese, percorrevano sempre il viale principale che tagliava in due quella macchia di tetti rossi.

La curiosità ebbe la meglio sulla pallina di gomma che cadde sul suo fianco andandosi a nascondere nell’insenatura del divano. Rimase ferma, cercando di risalire al possibile proprietario. In pochissimi secondi, una dozzina di volti attraversarono la sua mente. Nessuno però riuscì ad accenderle qualcosa dentro, così, l’unica soluzione era quella di scollarsi da quel tessuto ormai accaldato e correre verso il balcone. Non ebbe il tempo di razionalizzare la sequenza di azioni che avrebbe dovuto compiere che il motore si spense. Qualcuno era fermo sotto casa sua.

A casa Mitadi vivevano in cinque. La casa, una vecchia palazzina costruita alla fine dell’800, era di loro proprietà da due generazioni ed Elena aveva ereditato la stanza della nonna morta quando aveva appena sei anni. In famiglia non si viveva male. Il nonno, proprietario della farmacia del paese, era un uomo distinto, un po’ stordito dalla senilità. Aveva difficoltà a ricordare le cose ormai, tanto che aveva preso l’abitudine di scrivere, su un foglietto di carta, tutti gli impegni che avrebbe dovuto portare a termine. Le note rigorosamente impilate secondo ordine cronologico, venivano consegnate ad Elena, in un rito che sembrava esser diventato qualcosa di solenne per l’uomo.

Subito dopo pranzo, proprio quando Elena amava andarsi a sdraiare sul divano nel suo dolce far niente, il nonno la chiamava in cucina, le consegnava i foglietti e le ricordava di prestare attenzione affinché non dimenticasse di segnalargli nessuno degli impegni scritti li. Lei rispondeva sempre con un si-signore, un po’ ironico, che al nonno non bastava ma subito dopo uno sguardo negli occhi ed un bel sorriso riuscivano ad infondere quella serenità di cui aveva bisogno. Era sempre così, ogni giorno, da circa tre anni.

Quel giorno era tornato in farmacia subito dopo pranzo. L’attività ormai era gestita dalla figlia ma Ettore amava passare le giornate dietro quel bancone che per anni rappresentò la sua scrivania giornaliera, così Elena era rimasta a casa, da sola, insieme a suo fratello.

Elena era una ragazza responsabile e per questo non avrebbe mai permesso al fratellino di andare ad aprire alla porta, aspettò dunque qualche altro secondo, e senza infilare le ciabatte ai piedi per sconfiggere il caldo, corse giù per le scale.

L’uomo alla porta, dopo aver bussato con dei colpi decisi un paio di volte e rotto il silenzio a casa Mitadi, infilò una piccola busta nella fessura che il marmo creava con il vecchio portoncino, aprì lo sportello della lambretta, mise in moto e partì.

Elena si sorprese nel sentire quel motore ripartire e quando arrivò sulla soglia di casa la lambretta era già scomparsa dietro la curva che riportava al viale principale. Poteva sentirne ancora il rumore ma non era più visibile.

Tutto ciò che le rimaneva era quella piccola busta, che con grande curiosità, prese in mano.

To be continued…

Emanuele

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Ingegnere. Si divide tra lavoro, bicicletta, monociclo e volontariato. Vive in una casa con un ciliegio insieme ad una moglie, tre bimbe e otto pesciolini che non lo aiutano a tenere in ordine.

25 commenti » Scrivi un commento

  1. Mi sembra di intuire che stai scrivendo un romanzo 🙂 . Beh, senti che ti dice quel birbone del tuo amico Nicco… Scrivi bene. Si, scrivi bene.

    Il racconto è lineare e piacevole da leggere. E’ proprio lo stile di scrittura che a me piace trovare nei libri.

    Continua così e magari alla fine del romanzo… Manda tutto a qualche buona casa editrice che qua di …time is what you make of it… incroceremo tutti le dita non ti preoccupare. 🙂

    Ciao

  2. uè ti ritrovo scrittore? 😕 cmq concordo con Nicco, è piacevole da leggere… vediamo dove ci porti con la trama :joy:

    • Grazie a tutti! 🙂
      In realtà, proprio come dice il titolo, questo post è nato per gioco. Ieri sera, dopo essere uscito con gli amici, sono tornato a casa e avevo voglia di scrivere. Da alcuni giorni sentivo di doverlo fare “proprio come in un libro” ma, per certi versi, non avevo il coraggio di iniziare.
      Fuori non avevo bevuto birra, ma una semplice coca cola, così la testa probabilmente era un po’ più lucida delle altre sere.
      E’ nato per gioco e ciò che vedete non è frutto di revisioni, di frasi pianificate o modificate nel tempo. E’ uscito fuori così, intorno alle 3 di notte, nel silenzio della mia stanza.
      Non so neanche se continuerà o meno, le idee non mancano ma… “saprei davvero interessare qualcuno o perderei solo tempo?”. E’ una domanda alla quale devo ancora dare risposta.
      Intanto è qui, e se per certi versi risulta scorrevole, per altri lo vedo “mozzo”. Il sonno mi ha fatto fermare e in alcuni passaggi ho un po’ “tagliato corto”.
      Vedremo…
      Emanuele
      PS: sono ben accette le critiche, valgono oro! 😉

  3. Io ieri notte son riuscito solo a scrivere qualche frase sconnessa e piena di errori riguardo il vino del cuneese :timid:

  4. Bello… ora non mi lasciare con questa curiosità su cosa c’è scritto su quella lettera :worry:
    cmq scrivi bene… anche a me alle volte piace buttare giù dei racconti brevi così solo per gioco… senza sapere neanche dove andare a parare.. ma solo per il gusto di scrivere e vedere cosa esce fuori! 🙂

    Ciao,
    Antonio

    • Grazie Antonio! In realtà ciò che ho scritto è nato proprio come fai tu. Non sapevo dove volevo finire, sapevo solo ciò che volevo dire in quel momento. Non ho una scaletta, una trama, un’idea di capitolo o struttura in generale. E’ stato un test probabilmente. Non so ancora se continuerà, ogni tanto in questi giorni ho pensato di provare a riprenderlo, ma non so se per una storia nata senza basi ne valga la pena. Che mi consigli? 🙂
      Ciao,
      Emanuele

  5. Scrivi bene, molto bene…ti faccio i miei più sinceri complimenti.

    Non sono uno scrittore ma…il consiglio provo a dartelo lo stesso:

    non pensare a come continuarla o a quando continuarla…lascia fare al tuo cuore e al tuo spirito…quando lo senti…solo quando lo senti veramente…quando senti dentro te di farlo, prendi quella penna e lasciala scorrere su di un foglio…così nascono le più belle storie e i più bei racconti.

    • E’ un po’ quello che ho intenzione di fare io al momento. O meglio, ci sono un paio di idee, ma per questa storia credo che andrà così. Aspetterò l’ispirazione, come quella sera. Le parole uscivano da dentro e avevo l’immagine chiara in testa, non dovevo starci a pensare più di tanto! E’ stato bellissimo! 🙂
      Ciao,
      Emanuele
      PS: grazie! 😉

  6. come no?, se per un mese abbondante ci hai tenuto nascosto il tuo nuovo tema. Poi ovviamente scherzo, scrivi quello che ti dicono le dita e lascia andare la fantasia 😛

  7. Consiglio… quello che altri prima di me hanno detto… dato che è una cosa che è nata dal caso … non forzarti… almeno per me quelle volte in cui l’ho fatto ho perso l’ispirazione… fra qualche giorno quando riavrai la stessa voglia di scrivere di getto … apri il tuo bel macbook e inizia a buttare giù i tuoi pensieri. Certo, se fossi uno scrittore, forse non sarebbe il metodo più adatto per rispettare le scadenze 🙂 ma dato che, almeno per ora, non lo sei… allora il mio consiglio è di scrivere solo per divertimento e perché ti fa piacere… vedrai che la prossima volta sarà anche più divertente e magari la storia potrebbe prendere una piega che oggi non ti saresti aspettato.
    Ciao

    • Si infatti, so bene che se dovessi forzarmi quella magia scomparirebbe e probabilmente neanche il risultato sarebbe paragonabile a questo. Piuttosto mi chiedo se sia il caso o meno di continuare questa storia. Per andare avanti un minimo di struttura dovrò dargliela, no? E “dare una struttura” è qualcosa che cozza col mio primo tentativo in cui sono – realmente – andato a ruota libera!
      Ciao,
      Emanuele

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