Fossi Roberto Benigni, io direi “che ho voglia di fare l’amore con lei… ma non una volta sola, tante volte, ma a lei non lo dirò mai solo se diventassi scemo direi, direi che farei all’amore anche ora qui davanti casa per tutta la vita…” ma non sono Roberto e – soprattutto – mi riferisco ad un libro. Però è stata questa la sensazione: quando non lo leggevo mi mancava. Quando mi immergevo tra quelle pagine, la sua delicatezza, sembrava dovesse rompersi e finire troppo presto tra le mie mani. Maxence Fermine, fosse una donna, avrebbe me come stalker.
L’apicoltore era una perla, un dolce che aspettavo di gustare nei mesi in cui andavo avanti con Dostoevskji… come un’amata che sai che non ti sfuggirà perché il destino l’ha assegnata a te.
Il libro era già garanzia di successo. Mi ero innamorato di Neve, un capolavoro bellissimo che porto nel cuore (e nascosto nel footer di questo blog…) e la descrizione de L’apicoltore non lasciava spazio alle alternative: sarei caduto – tra quelle pagine – come una pera cotta.
Il giovane Aurélien Rochefer, vive in un paesino del sud della Francia alla fine dell’Ottocento, vuole realizzare il suo sogno, fare l’apicoltore. Gli alveari che costruisce vengono incendiati da un fulmine, mentre una misteriosa femmina nera che gli appare in sogno lo invita a raggiungerlo. Aurélien si imbarca per l’Africa, dove passerà di avventura in avventura, tra re ricchi e avidi, mercanti spietati e una Regina delle Api che gli farà un magico dono. Solo al ritorno a casa, egli troverà la forza di dedicarsi a una ciclopica impresa e saprà scoprire dentro di sé un puro amore per l’unica donna che lo ha sempre aspettato.
Descrizione de “L’Apicoltore” di Maxence Fermine
C’è l’Africa. C’è l’oro – il miele – giallo, che mi ricorda il mio giallo interiore di qualche tempo fa. C’è una donna che sai che non scappa, dolce e silente. C’è la ricerca, la necessità di esplorare… ok, non sto facendo una recensione. Sto letteralmente vaneggiando come si fa quando si descrive una persona di cui si è fulminati follemente.
Lo stile di Fermine è sempre fenomenale: con poche parole riesce a trasmettere colori, sensazioni, stati d’animo. Sembra abbia ricevuto il dono della sintesi che non va interpretato come una perdita. Le poche parole che adornano le sue pagine sono una ricchezza e, più volte, ti domandi quante volte sia tornato su un singolo vocabolo prima di giudicarlo come definitivo.
E’ finito prestissimo. Proprio come un dolcino che vuoi assaggiare in tutti i suoi mille sapori, ho tentato invano di rallentarne la lettura. Certe sere leggevo appena due pagine, cercando di ribellarmi a quella incorruttibile legge che prevede che ogni libro abbia – ahimé – l’ultima pagina.
Emanuele
dov’è il tasto “mi piace” ? 🙂
Ahah. Lo sai che sono “anti-social” io… e in fin dei conti, scrivendo un commento si può esprimere quel concetto a parole, proprio come hai fatto. 🙂
Comunque ti piace il libro o il post?
Ciao,
Emanuele
già! 🙂
mi piace il post..il libro l’ho avuto tra le mani in libreria, però poi credo di essere stata attirata da altro.
A me manca “Il violino nero” per completare la trilogia. Secondo me meritano tanto… prova a rivalutarli, anche perché sono molto corti e leggeri…
Ciao,
Emanuele
[…] completare “la trilogia dei colori” di Maxence Fermine composta da Neve (bianco), L’apicoltore (arancio) e Il violino nero (nero). Sono riuscito a farlo il mese scorso in Cina durante un paio di […]