Ma davvero volete sapere tutto tutto tutto?

Io sono un ingegnere informatico ma tutta questa tecnologia mi mette tristezza.

In questi giorni Google ha lanciato Latitude, un nuovo servizio sociale per localizzare i tuoi amici. Nulla di nuovo sotto il sole, esiste già da tempo Foursquare e anche Facebook ha il suo Places. Nulla di complicato da implementare inoltre. Sfrutti i GPS dei dispositivi, popoli una base di dati e poi estrai le informazioni con un’interfaccia più o meno complessa. Il problema di questi servizi pero è uno: mancano di magia.

Mi spiego. Immaginate che io prenda il mio iPhone dalla tasca, apra questa fantomatica applicazione e possa vedere al volo, su una mappa, dove si trova un mio amico. Io sono per strada, lui pure. Lo incontro.

Ecco. È morta la magia. Non è più possibile incontrarlo per caso, sorprenderlo dietro l’angolo, chiedersi come mai sia lì improvvisamente. Arriverò all’incontro già preparato o – al contrario – uccidendo il fato, potrò decidere di non vederlo. Se lui gira a destra io vado a sinistra ancora prima che esista il rischio di scambiarci lo sguardo.

Vedete, io non l’ho con Facebook. Io non sopporto tutto questo surplus di informazioni che rende la vita sempre più meccanica, sempre più gestita, organizzata, pianificata. Perché devo sapere sempre tutto di tutti! Io voglio incontrarti per caso!

Non mi iscriverò mai a FaceBook, non finirò mai su Latitude. Non dirò dove sono né voglio togliermi il piacere, genuino, di scoprire che Pippo e Clarabella escono insieme incontrandoli per strada piuttosto che vedendo i loro avatar passeggiare insieme sul freddo display del mio cellulare.

Sono il solo a conservare ancora questo antico ed invisibile piacere?

Emanuele

6 commenti » Scrivi un commento

  1. Ma io non ho capito, ma perchè qua vogliono sapere tutti chi sono, cosa faccio e dove sto?!?! uffà! 😡

    Ciao Manu! :joy:

    • Perché il mondo ha sempre più paura di stare solo. Devi essere sempre circondato da persone altrimenti entri in crisi, hai paura, non sai che fare… non sai parlare con te stesso e se lo fai ti deprimi. Il silenzio non piace più a nessuno.
      Queste tecnologie colmano questi vuoti che non si sanno né accettare né gestire.
      Ciao,
      Emanuele

  2. bu, io adoro questa cosa di essere social. Certo a volte preferisco l’anonimato ma per quello basta usare la giusta dose di privacy. XD

    • Probabilmente son strano io che per social intendo l’incontrare un amico per strada piuttosto che vedere su che lato del marciapiede cammina attraverso un display o il monitor del pc…
      Ciao,
      Emanuele

  3. Oddio! latitude è una cosa abominevole!

    Un giorno apro google (cioè google! non chissà quale strano dispositivo supertecnologico!!) e mi accorgo che sotto il nome del mio “fidanzato” c’è scritto un paese, penso “avrà scritto dove abita” (già non mi piace l’idea che le persone sappiano dove abito, ma va beh…) ad un certo punto mi accorgo che il paese cambia…..

    Un giorno tornando dalle vacanze siamo in macchina salendo dalle Marche gli arriva un messaggio (che leggo io perché lui guidava) con scritto: “ah, siete quasi arrivati a cattolica” 😕

    Poi mi è stato spiegato che è questo fantastico software “latitude” che ti permette di metterti in collegamento con gli amici e sapere sempre dove sono…

    Quando mi è stato chiesto di aderire all’iniziativa mi è venuta una profondissima angoscia… Cioè non è orribile che gli altri sappiano sempre dove sei?
    Ma si lo so che lo puoi disattivare, ma non è quello il punto… è il principio…
    Un giorno parlavo con una suora missionaria che mi raccontava di una bellissima esperienza fatta in Guinea Bissau, mi diceva che era andata a trovare una ragazza incinta, era partita senza niente, ne niente aveva l’altra ragazza da darle, ma quando i loro sguardi si sono incrociati sulla soglia di casa, il momento è stato magico, e mi ha colpito questa frase “in quel momento ho pensato “nessuno sa che io sono qui, e in questo piccolo pezzo di mondo, così lontano dalla mia terra, sto vivendo un momento così straordinariamente bello””.

    Forse non è nemmeno il senso di claustrofobia che mi fa venire la sensazione di essere “pedinata”.
    Il vero problema credo che sono io.
    Ho avuto la fortuna di passare tutte le estati della mia infanzia in un piccolo paesino di montagna della val trompia (Bs) e tante volte quando c’era il sole di mattina o di pomeriggio, prendevo la bici e andavo in pineta, da lì partono i sentierini per i rifugi delle montagne retrostanti il paesino. Salivo con la bici fin dove riuscivo, poi l’abbandonavo e proseguivo a piedi, fino ad un piccola radura dove c’era solo un tavolo di legno in mezzo agli alberi. Mi sdraiavo sul tavolo aspettando che il sole asciugasse il sudore e contemplavo la montagna, gli uccelli (falchi?) che planavano, la forma delle nuvole…. Passavo ore così a guardare il cielo e pensare. A volte scrivevo. Non leggevo mai però lì, perché i libri ti portano altrove, e io non volevo che altre storie di altre persone entrassero nella “mia radura”.
    Non c’erano i cellulari ed era bello essere lì da soli, SOLI, ma con la sensazione di star ricaricando le batterie per tornare nel caos delle macchine, delle feste, degli amici… (e non avevo ancora pc e cellulari…)
    A volte è bello stare un po’ soli con se stessi. Noi non possiamo farlo quasi più.

    E’ bello anche passare accanto ad un campo fiorito e camminarci dentro, sdraiartici sopra….
    O magari non lo farai mai, ma è bello anche solo pensare di poterlo fare, di far diventare una cazzata qualsiasi un’esperienza un po’ magica, senza che tutti i tuoi amici sappiano che hai deviato dalla strada consueta per farti una buona fetta di cavoli tuoi 😀

    Adesso vado in carcere (e sono anche in ritardo mannaggia!). Una delle cose che adoro del carcere, sono i rituali d’entrata. Deposito della carta d’identità, poi deposito del cellulare e di tutti gli oggetti elettronici (perfino le chiavette e le cuffie!) in guardiola. La borsa viene passata ai raggi X (credo siano X, io non me ne intendo!!) e tu passi sotto il metal detector. E così, senza cellulare e carta d’identità, ti senti “nudo”. I primi tempi è una sensazione un po’ strana…. Ma poi è come se… non lo so… Mi sento più viva lì, più autentica, che in molti altri luoghi.

    La cosa più bella è, prima di entrare, dire alle persone che conosci “oggi dalle 13.30 alle 18.00 sono irreperibile”. E sapere di esserlo per davvero. E’ una sensazione strana essere nel centro del caos di Milano ed essere assolutamente irreperibili. E’ una specie di dimensione spazio-temporale alternativa, è un altro mondo.
    Puoi spegnere il cellulare anche senza bisogno di andare in carcere certo. Ma non è questo il punto. Il punto è il principio 😀

  4. Ma si Tiziana, si sta uccidendo l’ignoto, l’imprevisto, il casuale. Tutto questo per un motivo semplice: fa paura. Se sai controlli, se non sai “te la prendi nel…”. E così tutto è sempre più monitorato.
    Col racconto della tua infanzia, hai ricordato la mia. Avevamo una casa in campagna, in una zona in cui le villette non erano recintate. Tutte erano a debita distanza ma non esisteva un reale segno di confine tra l’una e l’altra. Questa cosa, posso assicurarti, creava un bel senso di comunità e condivisione con persone che – alla fine – vedevi 2-3 mesi l’anno. E poi c’era come perdersi nei boschi, andare a sedersi sulla riva di un laghetto pieno di rane, raggiungere una cappella persa nel bosco che aveva una campanella con la corda che si tirava da dietro la struttura… un posto perso nel bosco che io sono andato a ricercare anche da adulto, nonostante non avessimo più quella casa. Potrei parlarne per ore, meglio che taglio qui… ma anche il tuo carcere, il tuo isolamento senza cellulare, io lo vivo “a modo mio”, quando decido di lasciare il cellulare a casa e prendere la bicicletta. Però… non avverto nessuno, pazienza se mi cercano e non rispondo.
    E infine, visto che il commento precedente (assurdo ma vero) potrei averlo scritto io interamente semplicemente cambiando posti/persone, qualche giorno fa ho ricevuto un’email da un missionario conosciuto in Senegal (a due passi dalla Guinea Bissau!): mi raccontava che era andato in un villaggio a dir messa e rifletteva di quanto fosse bello pensare che nel raggio di non so quanti chilometri lui fosse l’unico sacerdote, quella fosse l’unica comunità ferma intorno a quell’altare…
    Ciao,
    Emanuele

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