«Elon Musk compra Twitter». Cosa significa? Qualcuno in rete faceva notare che significa che un potente può comprare tutte le nostre interazioni digitali, il nostro grafo sociale, i nostri messaggi diretti e tutti i metadati che si possono costruire su un profilo (dal banale “che tipo di messaggi è solito inviare?” al più curioso “dov’è quando li manda?”).
Non so come Musk gestirà Twitter. Non so se andrà meglio o peggio. Non è questo il punto. Il punto è che oggi è lui, tra 5 o 10 anni potrà essere qualcun altro che, con tanti soldi, diventerà proprietario di una vastissima base di dati per chissà quale fine. A poco servirà cancellare il proprio profilo in quel momento.
Personalmente concordo con Jack Dorsey (ideatore di Twitter che da tempo ha lasciato le redini) circa la possibilità che Twitter (ma per estensione anche gli altri luoghi sociali mainstream) diventino dei servizi pubblici. «Beni dell’umanità» che nessuno può possedere e con regole ben definite per l’accesso alle informazioni che nel tempo, inevitabilmente, raccolgono.
Le alternative ovviamente esistono. Esiste la cifratura end-to-end, esistono sistemi «metadata resistant» (cioè in grado di non fornire metadati d’uso), esistono sistemi federati.
Il problema è che la massa non si sposterà mai senza che i nerd diano il via.
Sei un youtuber? Inizia a far conoscere Mastodon ad esempio.
La massa da sempre segue le indicazioni degli influencer. La politica e il mondo dell’informazione si sposta rapidamente dove c’è una massa importante.
Il web 2.0 è stato il far-west della Silicon Valley che grazie a poche ma efficaci tecnologie ha permesso l’interazione pretendendo in cambio il controllo.
C’è chi ha definito tutto questo «il nuovo olio nero» per il valore che queste nuove piattaforme hanno estratto negli ultimi quindici anni.
E’ ora di cambiare paradigma e puoi farlo anche tu.
Emanuele
Mi viene in mente la famosa vignetta dei due porcellini, in cui uno dice “guarda, non paghiamo nulla per la stalla?” e l’altro “si, ed anche il cibo è gratis!” con la didascalia “se non lo stai pagando, non sei il consumatore, sei il prodotto”. Che le piattaforme social vendano i nostri dati a destra e manca è un dato di fatto che ho accettato da tempo. D’altronde, come altro dovrebbero fare soldi queste compagnie? I fantastiliardi che spendono per gestire la loro infrastruttura non crescono sugli alberi. Allora forse la soluzione del modello pubblico dove il contribuente paga una tassa per tenere in vita queste piattaforme è l’unica possibile. Ma se le nazioni non riescono neppure a mettersi d’accordo sul mandare un paio di carrarmati all’Ucraina, figuriamoci sullo gestire queste piattaforme a livello mondiale. E poi davvero pensi che i governanti non possano fare la stessa cosa di Musk, ed andare a sbirciare dove sono e cosa fanno i proprio elettori? Oramai sono rassegnato alla triste verità che a prescindere da chi gestisce i dati, c’è sempre qualcuno che li userà per interessi personali.
Dici che l’unico modello di business disponibile nel mercato online sia quello di raccolta/analisi e rivendita dei dati degli utenti? Credi non possano esistere forme alternative? Io personalmente credo che il mercato abbia identificato gli elementi più redditizi e ovviamente finché la consapevolezza della massa non spinge in altre direzioni è ben motivato a cavalcare e sfruttare.
Sono ben consapevole che nessun servizio può mai esser gratis (è per questo che pago il mio hosting, pago il mio servizio email e gestisco il mio cloud in autonomia) al contempo però credo che, semplicemente, il mercato stia sfruttando l’ignoranza diffusa (in senso buono: in tanti non hanno assolutamente idea del mercato che contribuiscono ad alimentare partecipando in determinate piattaforme).
Relativamente al richiamo che hai fatto con la guerra in Ucraina, vedo un approccio molto americano da parte tua (non è la prima volta che lo scrivi) ma – passando oltre e volendo rispondere – direi che è ben più semplice trovare dei regolamenti per definire modi e tecnologie disponibili per delle piattaforme comunitarie piuttosto che parlare di armamenti.
Riguardo la possibilità di sbirciare da parte di privati o Stati, infine, torna nuovamente la mia segnalazione nel post: esistono sistemi più avanzati, più a misura d’uomo, meno basati sull’interesse economico e più protettivi nei confronti del singolo. Perché non iniziamo ad usarli?
Se hai voglia, mi trovi su Mastodon, io partecipo con una mia istanza ma puoi – ovviamente – iscriverti più rapidamente attraverso una qualsiasi istanza aperta. E’ gratis? No. I server costano. Alcune istanze sono mantenute da collettivi volontari, altre chiedono supporto saltuariamente come fa Wikipedia. Esistono insomma alternative funzionanti a social media basati sulla raccolta continua e aggressiva dei dati personali.
Ciao,
Emanuele
Perfettamente d’accordo con te su tutta la linea (sull’assenza della diplomazia europea in Ucraina sto scrivendo un post). Io rimango semplicemente scettico sulla volontà delle grandi masse di aprire i portafogli per supportare queste piattaforme per il bene dell’umanità. In fondo è come per il cambiamento climatico (anche qui post in arrivo sul binario due, eheh), dove tutti vogliamo un mondo migliore, ma in pochi rinunciano all’automobile o preferiscono il calduccio dei termosifoni invece che abbassare anche di solo un grado il termostato.
Non serve il sostegno di tutti, può bastare il sostegno di pochi. Wikipedia non è pagato da tutti i visitatori eppure il progetto trova modi per finanziarsi senza trasformarsi in un sistema di collezionamento dati.
Ciao,
Emanuele
Eppure gli interessi economici in ballo con le piattaforme social sembrano prevenire questa trasformazione che farebbe tanto bene a tutti 🙁
Senza “sembra“, le piattaforme che hanno conquistato il mercato remano chiaramente contro. Il loro intento continuerà ad esser quello di mantenere gli utenti dentro le loro gabbie d’oro…
Ciao,
Emanuele