Nella vita, secondo me, esistono sempre occasioni che favoriscono un cambio di ritmo. Sono attimi diversi dal solito ma fondamentali per la costruzione di nuove vie. Prendere la nave, è uno di quei momenti perché l’aereo in poche ore ti fa calpestare il suolo che vuoi raggiungere, mentre, quel mezzo così grande e pasciuto se la prende comoda e ti obbliga a saper aspettare. Saper aspettare. Appena ho scritto queste due parole ho fatto una pausa.
La nave, l’altro ieri, è andata via molto lentamente da Palermo e mi ha regalato anche la possibilità di vedere la mia città luce per luce, da una prospettiva diversa. Ecco, vivere in una città di mare è una fortuna incredibile anche per questo. Quando vedi il golfo e tutta la città che lo abbraccia da destra a sinistra; quando dalle luci, dalle forme, riconosci posti e luoghi del tuo passato ti sembra che – anche lei – voglia salutarti. Palermo la immaginavo illuminata per me. Sono stato a guardarla finché il vento sulla testa non faceva intendere che ormai quelle luci erano irraggiungibili anche per un nuotatore esperto. Non mi sentivo strappato dalla mia terra, no questo no, la velocità cui andavamo indicava tutt’altro che un atto di violenza. Però ero felicemente consapevole dei motivi per cui, per l’ennesima volta, la stavo salutando. Avrei voluto avere le braccia più larghe del golfo stesso per poterla abbracciare tutta.
La vita sulla nave è molto rilassata e grazie anche al periodo anomalo per i viaggi in mare c’era pochissima gente a popolarla, così spesso e volentieri potevo trovare angoli in cui rilassarmi o mettermi a pensare anche semplicemente fissando le luci annegate nei soffitti.
Sono stato parecchio a guardare le onde, a vederle andare e venire, infrangersi sui fianchi di questi palazzi galleggianti e poi morire pochi metri più in là. Che poi, le navi di una volta non esistono più. Ormai c’è il cinema, c’è il piano bar la sera, c’è la piscina, c’è la sala discoteca, c’è il bar in cui pochi pazzi (visti i prezzi) decidevano di intrattenersi.
Stranamente durante il viaggio ho avuto poca voglia di leggere: ero troppo distratto dai miei pensieri, dalle storie future e passate che si avvicendavano nella mia mente per poterne leggere di altre. Ho richiuso il libro poco dopo e l’ho rimandato a giorni un po’ più tranquilli interiormente.
Domani inizierò una nuova avventura – e questa cosa – il poter parlare in prima persona, il poter dire a me stesso “Manu, tocca a te, ci sei riuscito!” dopo anni passati a sognare questo momento è qualcosa che mi rende difficile prender sonno la sera. Non l’altro ieri sera sulla nave però. Forse il dondolare della nave conciliava…
E’ stato davvero un bel viaggio. Sei isolato dal mondo, la wi-fi costava 5€ l’ora e non ti viene neanche nei peggiori pensieri la voglia di chiedere informazioni. Per cosa poi? Vivo in un mondo perennemente connesso. Anni fa riuscivo a lasciare il cellulare a casa, era una necessità, un rifiuto dall’essere sempre “raggiungibile”. Col passare del tempo quella bella abitudine l’ho un po’ persa. M’è capitato qualche pomeriggio, ma per distrazione e gli unici momenti in cui avevo la possibilità di “staccare” erano i campi scout in cui – e i miei ormai da anni c’avevan fatto l’abitudine – evitavo di sentire anche loro, per potermi godere quei giorni immerso in altro. Ecco cos’è stata la nave. Il cellulare era in modalità “aereo” e se solo avesse saputo che andavamo a 40km l’ora…
Sulla nave c’era chi leggeva, chi ha dormito (e russato) per quasi tutto il viaggio, chi invece sottolineava appunti di chissà che materia o progetto o chi aveva voglia di chiacchierare ed ogni scusa era buona per attaccar bottone coi vicini di poltrona. Io – che osservavo silenziosamente – sorridevo, buttavo un’occhio alle onde dal vetro accanto alla mia poltrona e mi rendevo conto di quanto quel mezzo enorme ma così lento, stesse segnando un confine marcato tra passato e futuro.
Emanuele
POST MERAVIGLIOSO!!! 🙄
Robi
Meraviglioso è ciò che ogni mattina mi aspetta! 🙂
Ciao,
Emanuele
Sinceramente non ricordo come ho trovato il tuo blog, so solo che Google a volte ci fa fare interessanti scoperte, e il tuo blog è una di queste 🙂
Ho letto qualche post qua e la e ho capito che quello di cui parlavi in questo post non era un viaggio qualunque, ma l’inizio di qualcosa di nuovo e importante, per cui, anche se non ci conosciamo, in bocca al lupo 🙂
Giorgia.
Ehilà, grazie mille innanzitutto per l’in bocca al lupo…riceverne uno in più non fa mai male! Riguardo il resto, grazie ancora perché reputi questo blog Interessante (vedi che brava, prima volta che ti rispondo e ti becchi subito due ringraziamenti! :-)). Il viaggio che in questi giorni è diventato realtà, in verità è iniziato alcuni anni fa con un cambiamento interiore che difficilmente so spiegarmi ma che mi rendo conto pulsava forte dentro me! 🙂
Ciao,
Emanuele
Anch’io presi un mezzo che mi permise di allontanarmi lentamente dalla mia città. Presi il treno, che non offre la possibilità dell’abbraccio da lontano delle luci della città ma trasmette la stessa sensazione di lentezza, era come accarezzare quella costa che amo da sempre fino a staccarmene lentamente su allo stretto.
E’ l’inizio di una nuova avventura, sicuramente faticosa, difficile ma stimolante come desideri.
Buona fortuna.
Si è vero. Andare via lentamente è quasi un regalo alla fine. Perché scappare via ed essere altrove dopo 10 minuti è troppo asettico. Il corpo si ritrova catapultato. Le tue emozioni non possono essere lasciate libere d’esprimersi perché “il viaggio” è già finito. Eppure, interiormente, lo sei ancora. Così – in quel caso – realtà e anima vivono separate per qualche tempo. La nave, il treno… permettono invece di farlo diventare un viaggio interiore. E’ stato bellissimo.
Grazie per gli auguri,
Emanuele
PS: ma quando torni tu?!
Devo ancora prenotare il biglietto, ma non credo che prima di mercoledi mattina sarò in ufficio.
Fammi sapere anche perché devo parlarti 😉
Ciao,
Emanuele