Elena se ne andò sbattendo la porta con decisione. Era nervosa, stanca e incapace di credere che tutti quei discorsi non fossero serviti a niente. Ore e ore di snervanti discussioni e tentativi di aprire un dialogo che si concludevano sempre con un misero e sottile movimento del viso dell’ingegner Marco Roncetti. Non una risposta convinta però, non una presa di posizione.
L’ingegnere portò fuori dal taschino un sigaro conservato in un piccolo tovagliolo. Aveva bisogno di fumare, voleva trasformare quella stanza in un mondo grigio, un luogo in cui far svanire quel rigore che le urla e i lamenti di Elena avevano lasciato. Allungò e accavallò le gambe sulla scrivania incurante dei documenti che avrebbe calpestato. Tirò fuori dalla tasca l’accendino e tenendo il sigaro con le labbra, lo accese. Il fumo era il suo mezzo per evadere. Si concentrò inizialmente sulle forme che assumeva quando usciva dalla bocca e provò a controllarlo stringendo e allargando le labbra. Era strano come, qualche misterioso spiffero nella stanza, sapeva far svanire rapidamente nel nulla quei cerchi che, con tanta maestria, riusciva a realizzare.
Sapeva benissimo di essere un giovane ingegnere, nato e cresciuto sotto l’ala del rispettatissimo Alfonso Roncetti, ma non voleva che i suoi progetti venissero modificati per le assurde richieste di una donna, per lo più non professionista. Non poteva accettare che ciò che aveva in mente non fosse rispettato così come erano rispettate le parole di suo padre.
Allungò il collo sulla sinistra e con la mano spostò la tenda che copriva la finestra posizionata alle spalle della sua scrivania.
I tacchi di Elena scandivano i passi come le ruote di un treno su un binario. Il ritmo era sostenuto e non faceva altro che accrescere in lei il nervosismo maturato. Le persone, le saracinesche dei negozi e i bambini le scorrevano intorno e sfumavano dietro come tante sagome silenziose. Non c’era posto per altre informazioni nella sua testa in quel momento.
Girò l’angolo, tirò fuori le chiavi della sua vecchia auto e andò via frettolosamente.
L’ingegnere lasciò la tenda tornare, lentamente, alla sua posizione e aspirando nuovamente il suo sigaro prese ad osservare il silenzio del suo ufficio e il disordine della sua scrivania.
“Vendesi immobile, 280 metri quadri, da ristrutturare”, era ciò che da quella posizione l’ingegner Roncetti riusciva a scorgere tra quelle carte.
Potrebbe anche far parte di ciò che stavo raccontando… intanto, è nato così ed è finito qui. 🙂
Emanuele
Dovrebbe pur continuare. E’ un oltraggio ai tuoi lettori ;P
Uè! Ciao! Ti piace davvero? 🙂
Ciao,
Emanuele
Sì ma così lasci troppo col fiato sospeso. Che cosa è successo poi a Elena?
Elena ha incontrato un vecchio. Si son presi un thè, s’è affogata ed è stata ricoverata d’urgenza! 😛
Mmmm… il problema è che ancora non ho realmente strutturato un bel niente! 😀
Ciao,
Emanuele
Ahahaha , l’ha salvato il vecchio vero? XD
No, il vecchio era cieco. E’ stato il cane guida a chiamare un amico San Bernardo della protezione civile che, a sua volta, ha informato un paramedico nei paraggi.
Comunque il vero problema di questa storia è il thè. Nessuno l’ha pagato e il barista reclama ancora i soldi (tanto da aver sequestrato il cane guida del vecchio cieco…).
Ciao,
Emanuele
Una staffetta in piena regola , complimenti! Comunque davvero è un bellissimo scritto =)
Grazie! :joy:
Se riesco a buttar giù una scaletta magari una storia in piena regola proverò a scriverla prima o poi… 🙂
Ciao,
Emanuele
[…] un dialogo? Perché fin ora ho scritto sempre dei pezzi molto descrittivi e mi son reso conto che scrivere bei dialoghi è […]